mercoledì 28 dicembre 2011

Tutti sono giocatori. Pochi veri vincitori.

Giorno per giorno è l'unico modo di vivere che conosco. Qualche volta, anche mezz'ora per mezz'ora va bene. Anzi, va addirittura meglio.
I progetti a lungo termine muoiono lungo l'asse del Tempo, che tutto può e tutto cambia. Negli avamposti di un Futuro che non necessariamente è per tutti e, quasi certamente, non è quello che avevi previsto, neppure quello in cui speravi. Può darsi sia un Futuro persino migliore, migliore di quanto credessi. Ma questo ti è dato scoprirlo solo quando, arrivando - più o meno incolume, più o meno intero, più o meno vivo - alla fine della partita, Tu e Lui - il Futuro - mettete giù le ultime carte del mazzo. E no, non è come una mano di poker. E' più un "asso piglia tutto". Piglia tutto quello che di buono riesci ad arraffare. Piglia tutto ciò che torna utile al cuore. Piglia tutto ciò che fa da maestro, e ti insegna la Vita. Un po' di Vita. La Vita che ti serve, quella che ti basta. Se te ne basta.
Allora, solo allora, si tirano le somme. E non per forza sono le somme definitive. Il tempo per un altro giro di giostra, un altro drink, un'altra scommessa, un lancio di dadi, una rivincita, c'è ancora. C'è sempre. Per questo, io gioco. Fintanto che il coraggio mi tiene, la mano non trema, il cuore rimane saldo. Eternamente fedele a sé stesso.
Non si sa mai che, in ultimo, riesca a cambiare il risultato.

domenica 11 dicembre 2011

Tic - Tac. Tic - Tac.

A furia di dire: "E' solo un momento. Passerà", a passare è stata la vita. Quando non capivo che quei momenti, quei momenti che sarebbero dovuti passare, erano anch'essi, a modo loro, meravigliosa vita. Solo un po' più fragile, un po' più rotta. Vita spezzata. Vita incerta. Vita che ne aveva piene le palle. Ma comunque Vita.
Ed invece, io aspettavo. Aspettavo la dipartita di quei momenti per poter essere felice. Sarei stata felice dopo - mi dicevo - dopo che fossero passati.
Avrei dovuto, piuttosto, essere felice nel mentre, nel mezzo, durante. Così, non avrei sprecato il più prezioso dei doni: il Tempo.


E' quel tipo di amore lì, che voglio. Un amore che rompa gli schemi e, qualche volta, pure i coglioni. Un amore che non conosca calendario, che non sappia cosa sia un anniversario, un amore senza picci-picci o pucci-pucci. Uno di quegli amori in cui ci si grida contro, se necessario. Ma poi si resta saldi, spalla a spalla, per fare fronte comune.
Voglio un amore che non abbia tabelle di marcia: presentazione - numero di telefono - primo appuntamento - primo bacio al primo appuntamento ( un cliché ) - un paio di settimane di tira e molla tra palpative varie, con atteggiamento da frigida consumata, perché: "Io non sono una ragazza facile, per chi mi hai presa?" - e tutto quello che, generalmente, viene dopo.
Io, voglio un amore che non conosca la parola "generalmente". Un amore al contrario, che nasca dalla fine e finisca con l'inizio. Un amore che vive, e si esprime, come cazzo gli pare. Un amore in cui non è mai troppo presto, e neppure troppo tardi, per dirsi ti amo, per fare l'amore, o per mandarsi affanculo. Voglio un amore che morda, e che graffi, e che mi spacchi l'anima. Un amore che sia Passione, e Ossessione, e Rivoluzione. Imperturbabile moto di cambiamento.
Voglio un amore che, alla domanda: "Perché lo ami?" , mi faccia rispondere con un autentico: "Non lo so". Non lo so perché lo amo. Se lo sapessi, se riuscissi a ricondurre ciò che provo ad una ragione, ad una motivazione logica, non sarebbe amore.
Non si ama qualcuno perché è bello, o intelligente. Colto, o divertente. Forte, e romantico. Certe doti appartengono a molte, moltissime persone. E non possiamo certo amarle tutte.
Amore cerca Unicità. Unico e solo, in mezzo agli altri. Speciale, non perché scelto tra mille altri di poco valore. Speciale, perché trovato tra mille miliardi di altri di immenso valore che potevano essere ma, semplicemente, non sono.
Voglio un amore che sia. Un amore esigente.


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venerdì 9 dicembre 2011

Ciò che facciamo in Vita, riecheggia nell'Eternità.

Stanotte, mi manchi tanto.
Tu mi manchi sempre. Ma stanotte un po' di più. Un po' troppo. E' quella mancanza che non puoi sostenere, il peso di un'assenza che non sai sopportare, l'eco assurda del silenzio che si schianta contro il petto ed arriva a mettere un punto.
Stanotte, non ce la faccio. Stanotte mi chiedo perché la stronzissima morte abbia sparato nel mucchio, e abbia scelto proprio te. Te fra tanti.
Stanotte, più di altre notti, non capisco. E allora il cuore si spacca. Un'altra volta. Una volta in più. Una di troppo.
Non c'è giorno in cui il pensiero di te non mi accompagni. Solo chi ha amato, e perso, può comprendere quanto inconsolabile sia questo dolore, quanto incolmabile diventi questo vuoto. E' come un pezzo che ti viene rubato, e poi nascosto. E tu stai lì, e continui a cercare, a rovistare in ogni angolo, di ogni cassetto, di ogni piega dell'anima. Senti che quel pezzo c'è, da qualche parte. Ma non lo vedi. Lo senti, ma non lo puoi toccare. Ti sussurra sottovoce, ed è solo in silenzio che puoi rispondergli.
In ogni lacrima c'è uno spicchio di te. In ogni mattino che vede i miei occhi aprirsi, io mi ricordo del tocco mordace con cui affrontavi la vita, i suoi inganni, e le sventure, i successi e le partenze. E allora ringrazio. Ringrazio Dio, se un Dio esiste, o chi per lui. Ringrazio per avermi fatto vedere una nuova alba, che coincide con una nuova sfida, figlia di una nuova possibilità. Ringrazio, perché io ci sono ancora, e ancora posso provarci. A vivere come tu mi hai mostrato. Perché se io - e chi, come me, ti ha amato - fa del tuo esempio un baluardo contro i travagli della vita, allora tu non muori. Non te ne vai. Non sei lontano. Tu ci sei. Qui con me. Qui con noi. Tutto intorno.
E sento il tuo abbraccio, come una coperta calda, nel freddo di quelle notti che sono notti diverse dalle altre. Notti in cui arrendersi non è concesso. Provarci ancora è un obbligo morale.

Quando qualcuno che ami se ne va, è come un pezzo di cielo che cade. Ora, al posto di quel pezzo, c'è una stella.
Sii Luce. Stanotte, più di ogni altra, illuminami.

lunedì 5 dicembre 2011

Voglio un bacio. Di quelli che ti sputtanano, perché dicono tanto, dicono troppo, di te.
Uno di quei baci in cui ci sputi dentro l'anima e, quando poi te la riprendi, non è più la stessa anima. E' un'anima diversa. Piena di coscienza e di consapevolezza. Un'anima stropicciata.
Voglio un bacio che mi faccia a pezzi le labbra, ma ricomponga i cocci del cuore. Uno di quei baci che lasciano un segno, un morso, un rimpianto. Un bacio che mi faccia dire: "Non avevo mai baciato prima di oggi".


Io sono quella che aspetta. Aspetto che gli altri siano pronti. Pronti a fare cosa - poi - mica l'ho capito.
Io sono quella che porta pazienza. Cammino, da sempre, in punta di piedi nei giorni degli altri.
Le mie amiche, in borsa, hanno il rossetto e la cipria per rifarsi il trucco. Io, in borsa, ho un metro. Per prendere le misure, ed evitare di occupare troppo spazio nell'esistenza altrui.
Io sono quella che si è rotta i coglioni. Ora voglio qualcuno nella cui vita possa stravaccarmi senza tanti timori.

mercoledì 16 novembre 2011

Il cuore è un sopravvissuto.

La memoria del cuore è indelebile, ed eterna.

Il tempo logora ogni cosa, ed ogni cosa cancella. I contorni svaniscono. Le circostanze, i fatti, gli accadimenti, che ci vedevano protagonisti, si confondono. Le date si sovrappongono. Si aggiungono e si sottraggono. Si moltiplicano. Scrivono la cronologia alterata della nostra storia personale. I volti incrociati si mescolano, e si prestano occhi, nasi, orecchie, bocche. Sbiadiscono. Lentamente, ma inesorabilmente. Estranei che, una volta, conoscevamo molto bene e che, oggi, assomigliano ad ombre lontane, fantasmi di una vita che era e non è più, ninnoli dislocati qua e là, senza una logica precisa, lungo gli scaffali del ricordo. Polverosi, dimenticati, anonimi.

Rimangono gli scontrini. I biglietti del treno, in chissà quale viaggio. Gli appunti sui fazzoletti di carta. Una vecchia fotografia che ancora porta incisa, sul retro, la data. Una cartolina sgualcita, scordata sul fondo di quei cassetti che restano chiusi troppo, e troppo a lungo. La copertina di un libro che custodisce una dedica d'amore. Un orsetto di peluche che ha visto primavere migliori. Una sciarpa infeltrita, alleata fedele contro il freddo dei passati inverni. Un paio di jeans che, ormai, non ti sta più - cazzo, sono ingrassata!! O forse no, sono solo cresciuta. Un maglioncino slargato, tra le cui cuciture è rimasto incastrato il suo profumo. Una giacca troppo piccola per un destino troppo grande. Un tacco rotto. Una fodera bucata, dalla quale è scappata via qualche moneta, un mazzo di chiavi, un po' di vita.
Testimoni silenziosi, impassibili, immediatamente percepibili al tatto. Ti riportano con la mente a certi giorni, certi luoghi, certa gente. Descrivono l'invisibile ragnatela di un primo appuntamento, dei Natali in famiglia, delle lezioni alle otto del mattino, che ti sorprendono sognante e addormentato tra i banchi di scuola, dei "per sempre" pronunciati ad alta voce, delle gambe aperte troppo in fretta, dei cuori tenuti chiusi troppo a lungo, di un'infanzia che ci vedeva divisi tra soldatini e principesse, dei pomeriggi consumati a far l'amore, dei viaggi in auto - che se buchi una ruota non sei in grado di cambiarla, e allora, forse, gli uomini servono a qualcosa - di quell'incidente, quella notte, che ti ha strappato via qualcuno che amavi e, se un Dio esiste, non ti sa consolare.

Tuttavia, ciò che resta davvero, imperituro e forte, è il ricordo delle "sensazioni". Il ricordo dell'emozione che ti ha rimbambito la mente, e fatto tremare il cuore. Non ha bisogno di alcuna prova tangibile della sua trascorsa esistenza. Rimane nascosto nel doppiofondo sconosciuto dell'anima, come l'avanzo di una poesia che si finge di aver scordato ma di cui, in verità, si ricorda ogni verso, ogni rima, la metrica e il suono. Qualunque dettaglio.

La memoria del pensiero nasce e muore. Come ogni cosa mortale.
La memoria del cuore, invece, sopravvive a tutto. Persino alla sua stessa fine.



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domenica 30 ottobre 2011

Preghiera laica.

Dio benedica le rovine, le macerie, le certezze che crollano, i rapporti che vanno a puttane.
Dio benedica la rabbia, quando si trasforma in successo. E i fallimenti, che ti danno l'esatta misura di quanto, ognuno di noi, sia meravigliosamente umano.
Dio benedica i punti esclamativi, messi lì a dire: "Basta!!"
Benedica i calci in culo. Quelli presi, e quelli dati.
Dio benedica la parola "fine", quando questa è sinonimo di "liberazione".
Dio benedica i sensi di colpa, se equivalgono ad un esame di coscienza. Dio benedica gli esami di coscienza, perché implicano la tacita necessità di averne una.
Dio benedica le nevrosi, quando la pazienza non è più la virtù dei forti, ma la rassegnazione di chi si è arreso, o l'indifferenza di quanti non si lasciano toccare dalla vita, e dalle sue storie.
Benedica le urla. Perché non è vero che: "chi tace, acconsente". Talvolta, chi tace è semplicemente uno che non ha coraggio abbastanza per dire.
Dio benedica l'amore che morde, e che graffia, e che fa male. Le cicatrici ti ricorderanno che certi dolori te le sei andare a cercare. Ora smetti, per favore.
Dio benedica l'attesa, se la sola alternativa è scegliere di accontentarsi.
E' , senza dubbio, preferibile l'assenza di ciò che ami davvero, alla presenza di ciò che ti convinci di volere.
Dio benedica i sassolini nelle scarpe. Quando, finalmente, puoi liberartene. Benedica i coglioni che si rompono. E i cantastronzate di cui è pieno il mondo.

Dio benedica i furbi che mi fottono i post dal blog, spacciandoli per propri. Infondo, si rubano solo le cose di valore.

Dio benedica la distruzione. Poiché da essa, e da essa soltanto, nasce la trasformazione.



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domenica 9 ottobre 2011

Apparecchiando pensieri.

Quando arriva il giorno che ti cambierà la vita, non sai ancora che quel giorno ti cambierà la vita.
Quando incontri una persona che modificherà, per sempre, la rotta del tuo cammino, non ne intuisci subito l'importanza, e lo spessore.
C'è bisogno di spazio. E di distanza. C'è bisogno di prospettiva. Solo dopo molto, molto tempo, puoi fermarti - per un attimo pari allo spazio di un respiro - collegare i punti tra loro, e ottenere il quadro d'insieme. Poi, resti lì. Ferma. Inchiodata nello stesso punto. Inchiodata a te stessa. A guardarlo. Come uno spettatore esterno che analizza la proiezione di un'immagine su un telo bianco. E si chiede perché mai, prima di allora, avesse colto solo i singoli dettagli, invece del meraviglioso tutto, che si veste di mille colori cangianti.
E' allora che capisci. Ed il momento della comprensione, il momento della rivelazione, mette sempre i brividi. E' come un panno di seta che ti viene tolto dagli occhi. Il cuore smette di essere cieco. La realtà cessa di essere un groviglio intricato di fatti isolati. Ogni cosa si congiunge all'altra, nell'ineluttabile rete della fatalità.
E' allora - dicevo - che capisci. Capisci perché, quel giorno, hai incontrato quella persona, e non un'altra. Capisci perché, quel giorno, non è accaduto ciò che ti aspettavi accadesse. Capisci perché ci sono voluti tanti anni, prima di capire. Prima che ogni cosa avesse un senso. Prima che tutto fosse chiaro. Ma, soprattutto, ti riesce finalmente chiaro il senso di quella frase così terribilmente inflazionata, così tragicamente vera, che recita: "Nulla avviene per caso. Tutto accade per una ragione.".
Tu, ora, la conosci. Quella ragione.


Non so cosa spinga due persone ad avvicinarsi. A legarsi a doppio filo. In principio, forse, sono gli occhi. Gli sguardi creano il primo, e certamente più autentico, contatto. Con gli occhi non puoi mentire. Non ti è concesso.
In seguito, sono le parole. O, più precisamente, quello che, attraverso di loro, viene raccontato, e percepito, di sé stessi e dell'altro. Si creano strane sinergie, alchimie, reazioni, che ti fanno quella persona un po' più vicina, un po' più simile, un po' più tua. Come quando giocavi al piccolo chimico, mescolavi tutti gli ingredienti in una sola boccetta e, per miracolo, quella non scoppiava. Si amalgamava tutto, con naturalezza e perfezione, e allora non distinguevi più un componente dall'altro. Perché è questo che accade a due persone che si toccano il cuore. Non sanno più dove finisce l'uno ed incomincia l'altro. Ballano lungo il confine. E solo quando qualcuno ti chiede cosa si prova ad essere tanto legati ad un altro essere umano, capisci che il silenzio è l'unica risposta possibile.
Certe anime sono, semplicemente, destinate ad incontrarsi. E a cambiarsi, reciprocamente.

giovedì 29 settembre 2011

Libertà. Partenze. E tradimenti.

E' stato un attimo. Una folata di vento. Un movimento sbagliato. Un gesto distratto. Un tocco poco delicato. E si è rotto. Spaccato nel mezzo, e poi frantumato in mille piccoli pezzi di vetro soffiato.
Per un attimo, ci siamo guardati sgomenti. "Adesso mamma si incazza" - abbiamo pensato all'unisono. Muti, senza proferire parola, ognuno conosceva perfettamente i timori dell'altro. Poi, la risata è esplosa in un incontenibile fragore generale. Le labbra non ce l'hanno fatta a trattenerla oltre. Si sono arrese all'ilarità di un momento che aspettavano da molto, molto tempo.
Perché, non tutti i mali vengono per nuocere. E, spesso, i punti di rottura coincidono con uno nuovo inizio.

"Attenta a non tagliarti, mentre lo raccogli" - "e prendi una busta più grande. In quella non ci stanno mica tutti quei cocci!!"
E, intanto, china per terra a raccattare ciò che restava di un vecchio regalo, sogghignavo felice.
"Finalmente ce ne siamo liberati" - pensavo - "Abbiamo detto felicemente addio a quel maledetto centro tavola oro e arancio, così pacchiano, inutile, e ingombrante. Come certa gente".
Perché certa gente proprio non serve. Non serve a nulla. Tu ci provi, a trovarle un senso, una collocazione, un posto nel mondo, una ragione per cui dovrebbe esserci, e respirare. Ma non c'è. E' inutile che t'affanni.

Alcune persone sono come vampiri. Vampiri emotivi. Invece di succhiarti via il sangue, ti fottono l'energia, la linfa vitale, la voglia di continuare a credere, la speranza che qualcosa di straordinario possa ancora accadere. Si portano via il buono che hai, e ti lasciano carichi di un disincanto, di un disamore, che mai ti era appartenuto prima di allora. Ti svuotano.
Ecco. Quelle persone si meritano solo una valanga di calci nel culo.

Tempo fa, qualcuno che amo mi ha detto che io non so perdonare. Poi, ha aggiunto, che è tipico delle persone particolarmente buone non saper perdonare. Perché, quelli come me, non concepiscono il tradimento in nessuna forma. Che sia tra amici, o tra amanti. Sul lavoro, come nella vita. E se nemmeno riesci a concepire l'esistenza di qualcosa, come puoi addirittura pensare di perdonarla?
Eppure, so per certo di gente che col tradimento ci convive allegramente. Ci va a passeggio, ogni giorno, tutti i giorni. Saltella con nonchalance tra una bugia, una telefonata anonima, una dichiarazione d'amore pubblica, un paio di corna griffate - quelle non passano mai di moda - e una lavata di faccia davanti agli altri. Così che nessuno pensi di trovarsi di fronte uno sporco doppiogiochista, ma solo un'anima candida, che ama, incondizionatamente ama, e fa della persona amata il perno intorno al quale ruota tutta quanta la sua vita. La prima. Quella ufficiale. Perché poi, la seconda vita, quella ufficiosa e nascosta, è una pattumiera di verità subdole e copioni recitati con sapienza, e maestria decennale.
Buon sangue non mente. E' così che si dice. E nemmeno il sangue marcio, a quanto pare.
Machebravagente.

- "Sei cambiata, Anto!!" - "Ora sei più ponderata nelle scelte, più lenta nelle emozioni, più matura. E, tutto questo, nell'arco di un anno appena".
- "A dire il vero, sono solo più stronza. Ma non dirlo in giro".


lunedì 19 settembre 2011

Metti una sera qualunque, prima di un esame difficile.

E, finalmente, dopo tanto penare, vide com'era fatta l'ultima pagina del libro.
Si accorse che, al pari delle altre, era di carta.
"Che strano" - pensò. "Avrei sperato fosse meno banale. Credevo avrebbe avuto una consistenza speciale, straordinaria. Immaginavo richiamasse il tocco delicato della seta. Oppure fosse appiccicosa, come il cioccolato fuso. Dopotutto, è pur sempre la fatidica ultima pagina. Lì, dove tutto finisce, e puoi dire, soddisfatta, di essere arrivata fino in fondo."
Ed invece no. Era solo una pagina di carta. Liscia e bianca ( se non si considerano le striature di colore degli evidenziatori profumati, o le macchie di caffè, rovesciate lungo i bordi, tra una nottata insonne e un risveglio traumatico ) e, al pari delle altre, portava scritte le stesse cose. Qualche volta stupide, o superflue. Assai più spesso incomprensibili.
Fu così che, improvvisamente, una muta consapevolezza si fece spazio dentro di lei. Ed allora, a gran voce, disse a sé stessa: "Ma che me ne fott'!! M'agg' sfastriat!! Ma piglio comm' vene!!"

Ci vogliono spirito di sacrificio, dedizione, ed assoluta abnegazione per il perseguimento di un obbiettivo. Ma è pur vero che a tutto esiste un limite. Anche alla fatica. Alla lotta. Alla perseveranza. Un limite oltre il quale termina il sogno da realizzare, il traguardo da tagliare, la sfida da vincere, sempre e ad ogni costo, e cominci tu. Tu che, di tanto in tanto, hai bisogno di fermarti, e riposare, e tornare a respirare. Tu, che non puoi chiedere di più a te stessa rispetto a quello che hai già fatto, e dato. Tu, che ti sei spremuta come un limone, perché 99,9 è un numero che non conosci. Cento per cento ti piace di più. Tu che non ti risparmi, ma finalmente impari che l'indulgenza verso sé stessi è necessaria, qualche volta, ed è assai difficile da imparare.
Esistono i limiti. E, alcuni limiti, sono stati inventati per proteggerci.

Io sorrido nel bel mezzo di un bacio. Lo faccio sempre. Non saprei dire perché. E' un gesto spontaneo, inconsapevole. Le labbra si piegano con naturalezza, guidate da una volontà che appartiene a loro soltanto. Non a me. Ed è bello. Bellissimo. Sorridere nel bel mezzo di un bacio. Non trovate?

Mi viene in mente Edoardo De Filippo, quando dice: "Lu tiempo de' lacrime è passato. Mo è tiemp' e core tuosto e faccia tosta".

In realtà, la faccia tosta non m'è mancata mai. E, il cuore, "tuosto" lo è diventato nel tempo. Poi, però, il mio strano, stranissimo cuore ha imparato anche quanto importante sia saper discernere. Perché, con certa gente, quella gente che prima ti accoglie, poi ti sfrutta e ti consuma, e dopo ti blocca - e dico blocca, con un clik - il cuore deve essere tuosto assaje.
Ma con altri, con altri deve rimanere aperto, conciliante, pronto allo scambio, al mutamento, alla trasformazione.
La differenza c'è. E si vede.

Ama tutti. E se ci riesci davvero, insegnami come si fa.
Fidati di pochi ( ssimi ).
Non fare del male a nessuno. Salvo qualche necessaria eccezione. Perché quando ce vò, ce vò.

sabato 27 agosto 2011

Crescendo e Cercando.

C'è sempre un modo. Per fare l'impossibile, c'è sempre un modo. Per superare l'intollerabile, c'è sempre un modo. Per accettare l'assurdità e l'assurdo, c'è sempre un modo. Per fregare il dolore e i suoi compari, c'è sempre un modo. Per fare del bene, c'è sempre un modo.
Davanti alle difficoltà non dobbiamo avere paura. Dobbiamo sentirci ispirati.

E' l'attimo prima. Prima che arrivi la telefonata in cui speravi. Prima che lui ti chieda di uscire. Prima del primo bacio. Prima che il professore faccia il tuo nome per sostenere un esame. Prima che la luce si spenga, e scenda il buio. Prima che la stella cada. O la musica finisca. Prima che il sipario si apra. Prima che la bocca emetta il suono. Prima che il cuore perda un colpo. Prima di cadere. Prima di aprire gli occhi, tra il torpore del sonno e gli accenni del mattino. Prima che scorrano i titoli di coda. Prima di sapere come andrà a finire. Prima che tutto inizi. Prima che tutto cambi. Prima del salto. Prima. La Vita, nella sua essenza, è eternamente racchiusa in quell'attimo prima. Quando il Mondo si svela, e il vento cambia. E tu ne assecondi la corrente.

L'afa, la salsedine e gli scogli. La birra, le patatine e le fotografie retrò. Per festeggiare un'estate che finisce, e si porta con sé un po' di cose, un po' di roba, un po' di gente. Che a me serve spazio, spazio vuoto, per tornare a respirare.
Gli amici, e le panchine in legno, che un po' tremano e un po' pure, e se ti ritrovi col culo a terra ci scappa una risata. Le chiacchierate sul divano fino alle quattro del mattino con chi ti conosce, e ti capisce, e si ricorda sempre che tu, per il viso, usi solo gli asciugamani in tela morbida, e te ne procura uno prima ancora di chiederlo. Perché le vere amiche fanno questo. Anticipano le tue esigenze.
La colazione è un piccolo rito di felicità, e il caffè nelle tazzine inglesi è più buono. O almeno lo sembra. Ma insomma, che ti frega? Bevi e basta. Senza pensarci troppo.
I cambiamenti, le transizioni, i mea culpa e i progetti di felicità. Sembra facile. E forse lo è.
Le persone sono. Non "erano", "avrebbero potuto essere se", "sarebbero state ma", "saranno, un giorno". Le persone sono. Adesso. Oggi. E basta.

E così un po' la freghi, la solitudine. La inganni, per qualche ora. Ed è un inizio. Perché da qualche parte si deve pur ricominciare.
- "Da dove comincio?"
- "Comincia dall'inizio, e quando sei arrivato alla fine ti fermi" - rispose il Cappellaio Matto.

Quand'ero piccola, per tanti, tanti anni, il mio papà ha lavorato lontano da casa. Tornava ogni quindici giorni, se ci andava bene. Oppure una volta al mese. Se non ci andava bene.
Partiva di notte, ed ogni volta, prima di andarsene, mi diceva: "Torno presto, te lo prometto. Hai la mia parola". E, in qualche modo, il tempo volava. Lui tornava presto davvero. Manteneva la sua promessa.
Così, io sono cresciuta dando peso alle promesse che faccio, e a quelle che mi vengono fatte. "Te lo prometto" è un vincolo, per me. Un laccio stretto stretto. Un impegno serio. Un atto di fiducia da non tradire. Una menzogna da non pronunciare. Un giuramento che non si può infrangere.

"Ci si deve liberare dalla speranza che il mare possa mai riposare. Dobbiamo imparare a navigare in venti forti", ha detto qualcuno.
Le persone non desiderano cose facili. Desiderano cose grandi, ambizione, fuori portata.

martedì 12 luglio 2011

Signs.

... l'oroscopo di questa mattina: "Le stelle, oggi, vi spingeranno a sbarazzarvi di alcuni inutili scrupoli che ostacolano i vostri progressi. Sarete sorpresi nello scoprire come l'amore sia a portata di mano".

Venti minuti dopo, in una copisteria del corso, una di quelle che ho frequentato spesso in questi lunghi, e faticosi, anni universitari, senza che succedesse mai un emerito niente, due occhi azzurri, incastonati su un sorriso da incanto, mi hanno fulminata.
Ora, potevo starmene zitta, aspettare pazientemente il mio libro, alleggerirmi ancora un po' il borsellino da bimba che mamma mi ha regalato quando avevo quindici anni, impallidire all'idea della mole di studio che, anche questa estate, mi terrà compagnia, e andarmene a casa, mogia mogia, sotto il cocente sole di Napoli.
E invece no.
Erano senz'altro belli i tempi in cui si scrivevano lettere a mano - carta, penna e calamaio - o si restava incollati al telefono, tutta la notte - attacchi tu o attacco io?
Ma quanto è dannatamente più semplice, e meno compromettente, chiedere: "Ti trovo su facebook?" ...
L'occasione va creata. Lo dice anche una pubblicità.


... un paio d'ore dopo, me ne stavo col naso schiacciato contro una vetrina, ad ammirare un'orgia di borse che, consapevoli della loro straordinaria eleganza, davano bella mostra di sé con fare noncurante.
Ho fatto per andarmene, ed ho imboccato l'angolo che svoltava a sinistra, calcolando mentalmente quanti soldi mi fosse già costata l'imminente vacanza, e sentendomi terribilmente in colpa all'idea di spenderne ancora ( molti ) altri.
Poi, quasi senza rendermene conto, mi sono infilata come una scheggia in quel negozio, ed ho detto, semplicemente: "Voglio questa". Mentre mi chinavo a guardarla, la filodiffusione ha riempito l'etere con le note di una canzone: " .. sei un'emozione inaspettata, un sogno indescrivibile .." ... ed allora ho ripensato ad una persona che, fino a pochissimo tempo fa, rappresentava il mio incerto presente. Mi è tornato alla mente che quella era la "nostra" canzone. Poi, ho capito che di "nostro" non abbiamo mai avuto nulla. Ed ho comprato la borsa.
Fuori il vecchio, e dentro il nuovo. Senza che il cuore avvertisse nessun anelito di rimpianto.
Sono guarita.

... nel tardo pomeriggio, mamma urla, dalla mia camera, di correre a darle una mano, che una cascata di libri è venuta giù dall'armadio, e lei non ci si raccapezza.
Ho iniziato a mettere ordine, con l'idea di buttar via le cose inutili, e superflue, coperte dalla polvere del "poteva essere e non è stato", oppure "é stato e meno male che è passato" .. ed ho trovato un vecchio libro, un caro ricordo della mia insegnante di inglese, al primo anno di liceo. Il gabbiano Jonathan Livingston.
Anni dopo averlo letto, lo prestai a qualcuno che amavo molto. Oggi, a distanza di sei anni, ancora rappresenta un enorme punto interrogativo e, senza saperlo, si porta a spasso un pezzo della mia vita.
Il libro ho voluto che me lo restituisse. Quei piccoli brandelli di me, invece, glieli lascio. Forse, un giorno, gli saranno utili. O forse no. Forse, un giorno, ancora lo faranno sorridere, o arrabbiare. Forse, un giorno, li lancerà in aria, come il più bravo dei giocolieri, e li restituirà al vento, e alle sue correnti. Forse, un giorno, saprà cosa farsene. Per adesso, non ha importanza. Per adesso .. va bene così. Senza parole.

Sull'ultima pagina di quel vecchio libro, con la mia calligrafia da quattordicenne, scrissi: "L'amore è un firmamento immaturo, un arcipelago di stelle cadenti ... " ...
Perché se lo scrivi dura. E, a distanza di undici anni, quella scritta c'era ancora.

E' come se oggi, Futuro, Presente e Passato si fossero incontrati e scontrati, nel respiro di poche ore appena. Troppi segni, troppe coincidenze, perché io possa considerarle semplici casualità.
Certi giorni, la Vita ti parla in silenzio. Se tendi l'orecchio, puoi ascoltarne la voce. Se lasci che l'anima si apra al Destino, e dal Destino si faccia sorprendere, puoi trovare le risposte che cercavi da tempo. Come un regalo di mezza estate, che non avevi chiesto, e neppure speravi di ricevere.
Per cui, Signora Vita, io la ringrazio sentitamente. Mi è stata di grande aiuto. Ma non creda di aver estinto il suo debito. Ha un conto ancora lungo da saldare.

Tra venti giorni parto. Abiti corti e leggeri. Schiena scoperta e sandali nuovi. Spalle nude, e nastri di raso per i capelli. Spille, orecchini e trucco leggero.Cocktail di mille colori ghiacciati. Musica, ed allegria, ad ogni ora del giorno, e della notte. Per scandire il ritmo delle cose che mi sono persa, e che ora merito di recuperare. Doveri, obblighi e scadenze mi faranno "ciao ciao" dal molo. Loro restano a terra. Mi imbarco io soltanto. E la mia valigia è troppo zeppa di esperienze nuove da vivere per ficcarci dentro anche quelle vecchie. Se mai qualcuna di queste dovesse trovare il modo di imbucarsi, posso sempre lasciarla annegare in acqua.

Credevo di dover aspettare l'arrivo delle vacanze per partire. Solo ora mi accorgo di essere in viaggio già da molto tempo. Pronta, e desiderosa di emozioni nuove, scintillanti di infinite possibilità inesplorate.

Perdonate l'assenza. Avevo preso le distanze da me stessa. Ora, mi sono ritrovata.

lunedì 27 giugno 2011

Momenti di ( non ) trascurabile felicità.

Una domenica di inizio estate. Una domenica un po' sbadata, un po' arruffata, come un gatto sornione che si stiracchia, stanco e desideroso di coccole, lungo la linea di mezzeria. A metà tra la seducente freschezza dell'ombra, ed il calore lucente del sole.

Qualcuno che abita ad un tiro di schioppo da casa tua. Che a pensarci nemmeno ci credi. Fa tanto telefilm americano. Una pausa studio che sa di molte cose. Un po' troppe per poterle raccontare tutte, in una volta sola. Profumi ed abbracci sempre uguali a sé stessi. Esattamente come ricordavi che fossero, tanti anni fa. Certe volte, Il Tempo non passa. Certe volte, il Tempo è un concetto relativo.

Acchiappasogni - come pipistrelli diurni lungo il soffitto - che di sogni ne acchiappano pochi. Lenzuola che ammiccano all'estate, si vestono di righe orizzontali bordate d'azzurro, come il più ossequioso dei mozzi, e si lasciano sferzare dal vento. Quel vento che, nella bella stagione, ha un odore tutto suo, inconfondibile. Arriva dal balcone semichiuso. Si insinua dispettoso, come un ospite che non aveva l'invito, ma ci prova comunque, e si imbuca alla festa. Lo sa anche Lui che le regole sono fatte per essere infrante.

Libri dati in prestito, con l'impegno di trattarli bene. Che i libri lo sanno se non li ami. Lo capiscono. E poi si vendicano.
Pranzi improvvisati, con una scusa un po' banale, nel silenzio perfetto di una perfetta serenità. Che sbagli a cercarla lontano. La serenità è discreta, e silenziosa, e sa stare nel palmo di una mano. Persino in una mano piccola, come la mia.
Una passeggiata col cane, alle tre del pomeriggio. Che non sai se sei più contenta tu, lui, o il cane. Forse siete contenti tutti, per una volta. E non ci vorrebbe il mare, no. Perché ci vuole sempre qualcos'altro per essere felici?

E mi riaccompagni a casa a piedi. A piedi. Senza la frenesia insopportabile delle auto. In perfetta sintonia con il ritmo di una giornata che ha fatto della calma il suo vessillo inattaccabile. Persino la città sembra voler fare la sua parte. Se ne sta zitta zitta. Ammutolisce al nostro passaggio.
Ci si saluta con un sorriso, un sorriso che ha il sapore delle cose vere in un mondo difficile, ed ognuno torna ai suoi impegni. Che la vita chiama, e se le cose belle durassero in eterno non sapremmo apprezzarne la magnificenza.

E va bene così. Senza parole.

lunedì 20 giugno 2011

Che rumore fa la Felicità?

Credo esista una cosa peggiore della cattiveria. Peggiore di un tacco che si rompe, nel bel mezzo di un primo appuntamento. Peggiore della disonestà. Peggiore del mascara che cola, e del rossetto sbavato. Peggiore dell'ignoranza. Peggiore di un ritorno a casa inaspettato. Che tu volevi fargli una sorpresa, ma lui ne ha fatta una a te, facendosi trovare nel tuo letto, tra le tue lenzuola di seta, o di flanella, o di cantù, mentre Lady Smorza-Candela Godiva lo cavalcava allegramente.
Peggiore, persino, di tutte queste cose messe insieme.
La chiamano Ignavia. L'assenza di volontà, e di forza morale. L'ozio, e la codardia, di chi si crogiola in una scusa vecchia quanto il mondo. E, quanto il mondo, stanca di animare la stoltezza di certe bocche. "Le cose stanno così, io sono fatto così, non posso farci nulla".
Evidentemente, sei fatto male. Perché ci si può sempre fare qualcosa.

Gandhi diceva: "La vera forza non deriva dalle capacità fisiche, ma da una volontà indomabile".

C'è bisogno di persone coraggiose al proprio fianco, e di amori coraggiosi.
Quando siamo venuti al mondo, nessuno ci ha detto che sarebbe stato facile. Ma neppure ci hanno detto che non avrebbe potuto essere bellissimo, ed emozionante.
E' semplice cullarsi nel dolore, o nell'insuccesso. Richiede minor fatica, e minor coraggio. Più difficile, invece, è scavare dentro sé stessi, nella parte di noi che meno ci piace, quella parte che fingiamo persino di non avere, e trovare la forza di cambiare. Convertire un dolore in una risata.
Una sconfitta in un'occasione per rimettersi in gioco. Di nuovo, e più duramente. Una fine in un punto di partenza. Un traguardo mancato in un nuovo inizio, tutto da guadagnare.
La Tristezza in Felicità.

La Dichiarazione di Indipendenza americana annovera, tra i diritti inalienabili della persona umana, al pari della Vita e della Libertà, la Ricerca della Felicità. E non è il titolo di un film.
Capite? La Felicità viene messa sullo stesso piano di importanza, e di imprescindibilità, della Vita e della Libertà.
C'è chi lotta contro l'aborto, e chi a favore dell'eutanasia. Si ingaggiano guerre in nome della libertà di pensiero, e di espressione. Ci si indigna davanti alla sua assenza .. e poi .. non si combatte per la propria Felicità?

Diventate soldati della gioia. Marciate tra le fila di un regime che fa del sorriso la sua sola dittatura. Scoprite chi siete, e diventatelo. Siate ambiziosi nei progetti, e generosi nei sentimenti. Anelate l'amore, e non accontentatevi delle giustificazioni. Sappiate indignarvi per il dolore che vi viene recato gratuitamente. Ma poi, sappiate anche lasciarlo andare. E, con lui, sappiate lasciar andare la persona che ve l'ha procurato. Trattenete chi vi regala serenità, e spensieratezza. Ma aspettatevi che, un giorno, possa presentarvi il conto. Se lo fa, abbiate la memoria lunga, e ricordate che la Vita ha contratto un debito nuovo con voi. Presto o tardi, dovrà saldarlo. Se non lo fa, sappiate essere grati. E riconoscenti. Ma non fate della riconoscenza il vostro aguzzino.
Allontanate chi vi deruba il cuore. Concedete una possibilità a chi merita. Ma sappiate che il trucco sta nel capire chi lo merita davvero. Lasciatevi sedurre dalle parole, ma non permettete loro di ingannarvi. Applicate il Teorema del Silenzio: zittito il suono delle parole, restano soltanto i fatti. Se quelli non vi convincono, c'è qualcosa che non va. Trovate il coraggio di riconoscerlo.
Combattete per ciò in cui credete. Comprendete l'importanza di credere in qualcosa. In qualsiasi cosa.
Pretendete la Felicità come fosse un diritto. Non abbiate dubbi sul fatto che lo è davvero, e non commette l'errore di cercarla negli occhi, o nel cuore, di qualcun'altro. La Felicità è in voi, dentro di voi. Non intorno a voi.
Quando lo avrete capito, cominciate a lottare per essa.

Ogni giorno è un buon giorno per essere felici.

Copyright Viola Editrice

mercoledì 15 giugno 2011

Luna comunista.

Unghie laccate di rosso. Un bicchiere di vino rosso. Uno chignon stretto alla nuca, con un nastro di raso rosso.
Stasera imito la Luna, e mi coloro di rosso.
Rosso come l'imbarazzo di cui si veste ascoltando i complimenti, e le lusinghe, di cui sarà oggetto, questa notte. Quando, grandi e piccini, col naso all'insù, punteranno il dito e, in tono ossequioso - come al cospetto di un'antica Signora - sussurreranno: "Guarda che bella!!"

Luna. Lontana o vicina. Conosciuta o inesplorata. Ancella silenziosa della Madre Terra. Spettatrice discreta, e un po' ruffiana, delle più belle storie d'amore. Sei costretta, da sempre, ad arrivare seconda. Plebea per nascita. Rispettosamente subordinata al grande pianeta intorno al quale ruoti da troppo tempo.
Un giorno, ti ribellerai. Rovescerai il regime. Sovvertirai il trono, e le leggi secolari della fisica. Conquisterai il ruolo da Regina che ti spetta. Calzerai la corona che meriti.
Credo sia questo che intendono quando parlano di moto di rivoluzione degli astri.

Tra una parola di troppo, ed uno sguardo rubato ad uno spicchio di cielo, mi viene in mente una bella frase che fa: "Se guardiamo la stessa Luna, non siamo poi così lontani ... " ..


Nessuno muore vergine. La Vita fotte tutti.

Davanti ad un dolore, hai tre scelte. Tre possibili alternative.
Puoi lasciare che ti annienti.
Puoi lasciare che ti definisca in negativo.
Oppure, puoi permettere che ti fortifichi.

Qualche volta, mi sono lasciata sedurre dalla prima, e conquistare dalla seconda. Il cinismo è facile, suggestivo, accattivante. La disillusione una compagna affidabile, e poco invadente. Il disincanto, la più bella primogenitura.

Quando guardi troppo a lungo le stelle, anche le stelle diventano insignificanti.

Più spesso, tuttavia, ho optato per la terza. Perché l'istinto di sopravvivenza, e di conservazione, è connaturale ad ogni essere umano. Lo si lascia prevalere in maniera inconscia, inconsapevole, involontaria. Siamo fatti per lottare. Per vivere dritti. Per vivere in piedi.

Ho smesso di essere arrabbiata con la Vita, quando ho capito che, qualunque cosa lei faccia, vincerò Io.

venerdì 10 giugno 2011

Un giorno, sarò schifosamente felice.

Sei bellissima.

Incantevole.

Meravigliosa.

Perfetta.

Assolutamente perfetta.

Ma ...

C'è sempre un "ma". Ne percepisco l'arrivo prima ancora di ascoltarne il suono. Ed allora, il cielo si abbassa di un altro palmo.

Così, ogni sera, da sei anni, vado a dormire sola. In un letto troppo freddo, su un cuscino troppo scomodo. Chiusa nel dorato isolamento di questa decantata perfezione.
Vorrei essere meno perfetta e più amata. Vorrei un amore senza se e senza ma. Un amore senza incertezza alcuna. Un amore che sia un imperativo categorico. Non un condizionale ricorrente.

Mi guardo intorno, anche quando non vorrei, anche quando mi pare di non farlo, e vedo, inevitabilmente vedo, molte delle mie amiche fidanzate e felici. Non che la prima sia condizione sine qua non della seconda. Eppure, felici lo sono. O, almeno, lo sembrano.
Altre, invece, chiudono una storia per trovarne un'altra subito dopo. Non avranno trascorso più di sei mesi da sole, nell'arco di tutta quanta la loro vita. Maratonete dei sentimenti, sono pronte a dichiararsi innamorate ogni volta.
Ed allora mi domando come sia possibile che, per alcuni, l'amore sia tanto facile. Così grossolanamente a portata di mano. E per altri, invece, doloroso, difficile. Ed introvabile.

Mio padre, qualche tempo fa, mi ha detto: "In amore, pagherai caro, ogni giorno, il prezzo della tua intelligenza. A meno che, tu non riesca a trovare qualcuno che sia forte, ed intelligente, quanto te. Starti accanto non è facile. Sei troppo complessa, troppo ricca di sfumature. Le persone faticano a starti dietro, e quindi preferiscono lasciarti andare, invece di seguirti .." ...

Insomma, pago lo scotto di quella che sono. E, soprattutto, di quella che non sono. E, forse, io non sono il tipo di ragazza di cui i ragazzi si innamorano. Dovrei accettarlo come un dato di fatto, al pari dei capelli ricci, o della voglia di caffè sul ginocchio destro. C'è. E' lì. Nulla può cambiare l'oggettività di questa semplicissima realtà.

Ti ho dato la parte migliore di me. E non è bastato. Ti ho mostrato il peggio di me, ma neppure quello ti ha trattenuto. Mi viene in mente una vecchia citazione che fa: "Amami quando lo merito meno, perché sarà quando ne ho più bisogno".
Avrei voluto tenerti per mano, nei pomeriggi di sole, quando la gente, invidiosa e stupita, guardandoci avrebbe pensato: "Che bella coppia!! Sembrano fatti apposta per stare insieme!!"
Avrei voluto che conoscessi ogni cosa di me. Ed ogni cosa avrei voluto imparare di te.
Avrei voluto rendere più serene le tue giornate, ed essere la ragazza per la quale avresti detto: "La mia vita è cambiata da quando l'ho incontrata .." ..
Avrei voluto insegnarti l'amore. Il mio.

Ho pianto, ed ho trascorso notti insonni. Con le mani strette a pugno, intorno ad un delfino di peluche. Che, come me, ha paura del buio. E, come me, da oggi, imparerà ad essere forte. Più forte ancora. Così che il suo cuore diventi uguale al mio. Limpido e cristallino, come il diamante. Ma, al pari del diamante, duro ed impossibile da scalfire.
Dall'esigenza di non ferirsi nasce il bisogno di difendersi.

Ho desiderato che le cose cambiassero. Che, per una volta, andassero come volevo io. Ho sognato la protezione di un abbraccio, la gioia di un ritorno, il coraggio di una scelta, la sicurezza di un sentimento che non conosce dubbi, o incertezze, il ricordo di quei baci che non ho dimenticato.
Nulla di tutto questo è accaduto. Ed ora, devo ricominciare. Una volta ancora. Una volta in più.

Cuore mio, ti prego, non stancarti mai di amare, e di ripetermi: "Diventerai ciò che già sei. Una guerriera. Una guerriera felice!!"

domenica 5 giugno 2011

La gruccia dell'amore.

"Amo la gente che si ama, che sa amarsi. Ha un vestito migliore, cucito addosso con l'ago dell'anima. E lo regala, senza guardare la misura. Perché l'amore non si prova. Si indossa direttamente .. " [ M. Bisotti ]

Non è un abito di Roberto Cavalli. Non è una gonna di Versace. E neppure un tubino nero di Gucci.
Se Coco Chanel mi sentisse, si rivolterebbe nella tomba.
O forse no.

Non lo noti in vetrina, passeggiando lungo il corso con le amiche. Non resti a fissarlo, sbigottita, mentre fai mentalmente il calcolo dei tuoi risparmi, e valuti sotto quale ponte saresti costretta a vivere se ti concedessi il lusso di comprarlo.
Ponte Milvio. Ponte Vecchio. Ponte dei sospiri .. ecco si, il Ponte dei sospiri potrebbe andare bene. Pare che gli affitti siano calati, e si trovi ancora qualche cartone di seconda mano con il quale avvolgersi nelle notti d'inverno.

Non entri in un negozio per chiedere la taglia. E neppure arricci il naso se non ti fascia bene il sedere, oppure non tiene alti i seni. Mamma Gravità se n'è andata in pensione.

Non scegli il colore che meglio si adatta alla tua carnagione. Il blu ed il verde si sposano all'oro degli occhi. Il rosso ed il nero preferibilmente d'estate. Con la pelle colorata di sole. Il rosa nemmeno a parlarne, e l'azzurro in qualche rara occasione.

Non ti atteggi a modella, davanti al riflesso di uno specchio muto - e non sempre accondiscendente - mentre mimi pose cinematografiche e pensi a quanto bello sarebbe se lui te lo vedesse addosso.

L'amore è come un golfino sbrindellato, ed apparentemente privo di valore, nascosto tra infiniti altri, su una bancarella americana, al mercato.
Ti tuffi alla cieca, in quella colorata confusione di stoffe, bottoncini, cerniere lampo, baveri e cuciture, ed inizi a cercare.
Quando disincanto e sconforto stanno per prendere il sopravvento, lo vedi e, da subito, senti che ti appartiene.
Lo vuoi, prima ancora di sapere di volerlo. Ed allora lo prendi, senza provarlo. Lo prendi sulla fiducia. Perché, se è quello giusto, sai già, in cuor tuo, che ti calzerà a pennello.

L'amore non ha bisogno di prove tecniche. Va vissuto. Non capito.

sabato 21 maggio 2011

Ginevra.

Lunedì compio gli anni. 25. E' un bel numero, il 25. Un quarto di secolo.

Pensavo che un giorno, non troppo lontano, mi piacerebbe diventare mamma. Avere una figlia.

A Ginevra racconterò, ogni sera, una favola nuova, per conciliarle il sonno. Ma, nelle sue favole, non ci saranno principi coraggiosi e principesse indifese. Non ci saranno draghi, spade magiche, bianchi destrieri, streghe e ranocchi. Non ci saranno fate turchine, grilli parlanti, gnomi o folletti.
Le favole di Ginevra racconteranno la storia dei veri super-eroi. Quelli che incontri ogni giorno, tutti i giorni. Al supermercato, all'università, in fila alla posta, nel vagone di un treno, alla fermata dell'autobus, per le vie del centro, in piazza, nella trattoria all'angolo, lungo la strada.
Uomini e donne, eternamente bambini, oppure vecchi nel cuore. Speranzosi, o disincantati. Vittoriosi, o perdenti. Ostinati, determinati, o arrendevoli. Pragmatici e sognatori. Cinici, realistici e romantici. Una gamma infinita di infinite vite.

Le insegnerò che non sempre i mostri cattivi vengono sconfitti dal prode cavaliere, senza macchia e senza paura. Perché non esiste nessuno che sia davvero senza macchia, e senza paura.
Qualche volta i mostri vincono. E' non c'è niente di sbagliato. Anche se fa male.

Le insegnerò che dare non è meglio di avere. Perché ci sono cose, nella vita, che si devono avere per forza.
E' importante avere un sogno, per cui lottare. E poi un altro, per cui lottare di più. E un altro ancora, che valga i primi due.
E' importante avere un posto in cui tornare, dopo essere stati via dal mondo, e da sé stessi, troppo, e troppo a lungo.
E' importante avere un amico su cui contare. Qualcuno che conosca la differenza tra sentire ed ascoltare. Consigliare e giudicare. Qualcuno che non dica "te l'avevo detto", anche se lo pensa.
E' importante avere determinazione a sufficienza per perseguire un obbiettivo, e saggezza abbastanza per capire che, qualche volta, è necessario "lasciar andare".
Lasciare andare un dolore, o una sconfitta. Una paura, o una vittoria. Un errore, ed un successo. Un amore, o un'illusione. E ricominciare.
E' importante avere una dose massiccia di ironia cui dare fondo nei momenti difficili. E una scorta segreta di umorismo illimitato.
Sarò la sua pusher di sorrisi.

Le insegnerò che le regole esistono e, qualche volta, vanno infrante. Che i limiti ci sono, e vanno superati. Perché la vita non può essere costretta nel perimetro delle definizioni. Può essere necessario uscire dal seminato, saltare la staccionata, e correre a pedifiato nel nulla dello spazio circostante, per capire chi siamo, e cosa ci manca.

Le insegnerò che la libertà è la più grande delle ricchezze, e la più sudata delle conquiste.

Le insegnerò che essere donna è un mestiere difficile. Ed affascinante.

Le racconterò del mio primo amore. E spererò, con tutto il cuore, che il suo sia più bello, e rispettoso. Le racconterò del mio primo giorno di scuola, e del primo esame. Della prima volta in cui sono rientrata tardi, e papà si è arrabbiato. Le racconterò della prima volta in cui ho indossato i tacchi, e del primo libro che ho letto. Della prima bicicletta, e dei miei primi pattini. Delle ginocchia sbucciate, e dei primi diari. Le racconterò del mio primo bacio, e della mia prima volta.
E poi, le spiegherò che, spesso, le seconde volte riescono meglio.

Le insegnerò che i libri sono come le persone. Alcuni ti tengono compagnia lungo l'arco di un respiro. Altri, invece, sono per sempre.

Le insegnerò a porgere l'altra guancia. E le ricorderò che di guance ne ha due soltanto.

Le insegnerò a non tradire sé stessa.

Le racconterò che, per lungo tempo, ho creduto che mai avrei avvertito il desiderio di diventare mamma.
Poi, un mattino, un mattino qualsiasi, senza una ragione apparente, mi sono scoperta a pensarci. E più ci pensavo, più mi piaceva.
Se un giorno arriverai, sappi che le mie braccia sono già pronte ad accoglierti.

Infine, le racconterò che lei è il frutto di un grande, grandissimo atto d'amore.

Copyright Viola Editrice

lunedì 16 maggio 2011

Son le cose che hai odiato di più.

Odio. Lo spago colorato che strozza i veli delle bomboniere. Quelli in cui sono contenuti i confetti al cioccolato. Che, per riuscire a mangiarli, devi istituire un vero e proprio fronte di liberazione, con artiglieria da combattimento al seguito: unghie, denti, forbici e coltelli, una volta persino le tenaglie.
E poi, scopri che i confetti sono alle mandorle, non al cioccolato. Puah!!

Odio. Gli uomini che non sanno lasciarti andare. Ma neppure provano a trattenerti. Ed odio le donne che si accontentano delle briciole. Perché, un tempo, ero una di loro. Un tempo lontano.
Prima che la Vita si mettesse alla cattedra, e mi insegnasse la più importante delle sue lezioni. Parafrasando una famosa citazione letteraria: "Le persone che amano sé stesse, non si affannano nel disperato tentativo di farsi rispettare. Semplicemente, non si relazionano con chi non le rispetta".

Odio. Il sapone sotto le unghie. Le calze smagliate. Il caffè amaro. Ed il rimmel che sporca la palpebra superiore dell'occhio. Che tu ci hai messo un'ora buona per stendere l'eye liner, e l'ombretto. Hai dato fondo alla tua pazienza per curare anche la più piccola delle sfumature di colore. Hai invocato ogni sorta di santo - che manco Dio riuscirebbe a ricordarli tutti - perché la mano non tremasse, e non ti facesse sbavare. E poi, eccolo lì. Il fastidioso, peccaminoso, indistruttibile puntino nero. Figlio di un mascara traditore.

Come scrive Guccini, e come canta la Mannoia, odio: "Le fedi fatte di abitudini e paura. Una politica che è solo far carriera. Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione, e mai col torto .." ..

Odio quelli che odiano i mercatini. Un tripudio di colori cangianti. Allegoria di vite, e di persone. Fruttivendoli e signore ingoiellate. Adolescenti che hanno bigiato la scuola, e nonnine battagliere pronte a strappare un affare sul prezzo. Commercianti goliardici e pittoreschi. Pescivendoli, calzolai, bambini appiccicosi di zucchero filato, e giovanissime, inconsapevoli starlette sculettanti. Una vasta scelta di abiti, ed oggetti, inusuali. Che, probabilmente, non sfileranno mai sulle passerelle ultra-chic di Milano, o non saranno esposti nelle sbrilluccicose vetrine degli atelier francesi. Ma poco importa. La vita di tutti i giorni è la nostra personale passerella.

Odio i cinici. Per tutte le volte che, io per prima, lo sono stata. Odio l' ironia dissacrante. Quella che non sa divertire. L'ironia che si limita a sbeffeggiare, e demolire. Figlia di un'invidia che - si dice - sia la più sincera manifestazione dell'ammirazione. Eppure, fa male lo stesso.
Odio, gli anticonformisti per professione. I criticoni. Che se fai, o dici, una cosa buona, loro sono sempre lì, chiusi nel dorato isolamento della loro superbia, a farti notare quello che non va, quello che avresti potuto fare meglio, quello che loro avrebbero saputo fare meglio.
Peccato che non l'abbiano fatto.

Non simpatizzo nemmeno per i puntini sospensivi. Un tempo, li usavo spesso. Nei temi, al liceo. Negli sms. Anche nei post, sul blog. Credo fossero lo specchio della mia vita di allora. Una vita sospesa. Una vita in attesa di qualcosa che, in verità, non sarebbe cambiato se io stessa non avessi provveduto al cambiamento. Una vita senza contorni. Assenza di colore di definizione.
Oggi, il mio modo di scrivere è radicalmente mutato. Periodi brevi, netti e decisi. Come una stilettata al cuore. Molti punti, qualche virgola, raramente puntini sospensivi.
Oggi, sono assai diversa dalla persona che ero appena un anno fa. Più consapevole, e per questo più forte ed equilibrata. Più indipendente. E, soprattutto, più libera.
Libera dal ricatto delle attese, dalla galera delle passate illusioni, dalla gogna delle aspettative future. Affrancata da molti ( forse non tutti ) dolori di un tempo. Orgogliosa delle vittorie, e più orgogliosa ancora delle sconfitte.

Odio la banalità di certi primi appuntamenti. E quelli che la confondono, volutamente, con la semplicità.
Sarebbe bello un pic nic al planetario. Un gelato sulla ruota panoramica. Una mostra fotografica ed un concerto jazz. Una gita all'orto botanico. Che un po' ammicchi, e po' no, tra un cespuglio di betulle, ed una quercia secolare. Una chiacchierata, a notte fonda, seduti su un gradino delle scale. Voglio un uomo che sappia fare l'amore con la mia testa, prima che col mio corpo.

Odio il primo bacio, al primo appuntamento, ad ogni costo. Come fosse una tappa obbligata. Che, se non lo fai, lui se ne ritorna a casa con la convinzione di non piacerti. E invece, tu sei solo una che da valore al tempo, e tempo alla sacralità di certi momenti. Perché i baci sono sacri. Ed il primo bacio lo è anche di più. Ti racconterà tutto ciò che le parole non hanno saputo dire. L'imbarazzo di un'emozione che ti ha obbligato ad abbassare lo sguardo, nel timore che il cuore esplodesse troppo in fretta.
Un bacio può persino svelarti il destino di un amore. E' il più affidabile dei cartomanti. Più sicuro dei fondi di caffè. Più sincero di qualunque combinazione astrale. Ma, forse, assai più complicato.
Per questo, è necessario cogliere il momento perfetto. Aspettare che arrivi. Senza forzature. Spontaneamente. Perché la Spontaneità è madre delle cose autentiche.



Copyright Viola Editrice

venerdì 13 maggio 2011

Né vincitori né vinti

Le donne forti camminano dritte, lungo l'asfalto della vita. Sono donne difficili. Sono donne che non si accontentano più. Hanno il sole negli occhi, e qualche relitto di troppo nel cuore. Eppure, non si stancano di sfidare l'incertezza del mare.
Vivono di sogni mischiati al cemento. E capita che non sappiano più distinguere gli uni dall'altro.
Danzano scalze. Un po' zingare, un po' selvagge. Eternamente bambine, sotto le ciglia vestite di rimmel, e le labbra rosso rubino.
E' la mente a partorire il loro erotismo che, lento, si annida nel cuore. E poi, sinuoso, si traduce sul corpo. Il loro fare l'amore, è un fare l'amore complesso. Per questo, quando prendi una donna, non ne prendi un pezzo soltanto. Ne sposi l'armoniosa, assoluta, totalità.
Le donne forti spogliano l'anima, la vestono di magnifico nulla, la dividono in parti, piccolissime parti, e ne mettono una in ogni cosa che fanno. Tutto quello che toccano diventa magia.
La loro vita è una corsa ad ostacoli, senza podio e senza medaglie. Si portano addosso i fallimenti, e le sconfitte, con innata eleganza, e dignità sofferta. Come un tassello di vita che, malgrado il dolore, non baratterebbero mai. Perché sono ciò che sono. E non lo rinnegano.
Le donne forti non smettono di cercare qualcuno per cui valga la pena tornare ad amare. Perché le donne forti tornano ad amare una volta ancora, una volta in più, una di troppo. Anche dopo aver giurato a sé stesse che mai più lo avrebbero fatto.

Le donne forti fanno paura. Ma sono le sole per cui valga lo sforzo.

Copyright Viola Editrice

giovedì 5 maggio 2011

Ad ogni nuovo inizio.

Questa strana storia, qualche volta buffa, sempre romantica, a tratti irriverente, spesso malinconica, o persino cinica, è iniziata due anni, cinque mesi e diciassette giorni fa.
La febbre di scrivere, invece, è nata con me.

C'è stato un tempo in cui nessuno conosceva il mio blog. Nessuno lo leggeva. Nessuno commentava. A parte qualche caro amico, mosso dalla solidarietà. Dal cameratismo. E - non mi sento di escluderlo - dalla pietà.
Oggi, conto cinquecentotrentasette follower. Li chiamano così. Follower. O lettori fissi. Io preferisco, semplicemente, lettori. Perché, come direbbe Baricco: "Leggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola, e più dolce, custodia di ogni paura. Un libro che inizia".
E la vostra vita è passata di qui, consapevolmente e non. Quella vita con le sue paure, le sue attese, gli incanti e i disamori, le felicità rubate e le gioie conquistate.

"Tacchi a spillo e gambe di zucchero filato" è il verso di una poesia il cui autore è voluto rimanere anonimo. Inciampai nelle sue strofe qualche anno fa, e me ne innamorai. Perdutamente. Irrimediabilmente. Senza se. Senza ma. Senza incertezza alcuna.
Questo verso, in particolare, mi rimase piantato nel cuore. Come il ricordo di qualcosa, o di qualcuno, che fai fatica ad uccidere, anche se vorresti.
Decisi, allora, che sarebbe stato il nome di questa mia finestra sul mondo. E dico "nome", non "titolo", perché richiama l'idea di uno spazio più intimo, e personale. Il titolo è quello di una rivista, di un giornale, di un programma televisivo o di uno spot pubblicitario. Un espediente commericiale per agganciare utenti. Numeri, invece che persone.

Anche la scelta della foto di intestazione non fu casuale. Una panchina è l'emblema perfetto dell'attesa imperfetta. La pazienza di chi si ferma, si siede, ed aspetta.
Ed io, ho trascorso buona parte della mia vita in attesa.
Ho aspettato, sulle panchine di cemento di una stazione di paese, l'arrivo di quei treni che, per anni, ogni mattina, mi hanno portata all'università.
Ho aspettato un grande amore, che non è arrivato. Un principe azzurro, che si è perso.
Poi, ne ho aspettato uno giallo, rosso, verde, fucsia, a pois, a strisce, rombi o quadrettoni. Ma neppure quello è arrivato.
Ho aspettato che la porta si chiudesse, e si aprisse il portone. Che domani fosse un altro giorno, come diceva quella tipa.
Ho aspettato il sole dopo la tempesta. Poi, ho capito che io, il sole, ce l'ho dentro.
Tra le cose attese, e disattese, ce n'è una che non può più aspettare. Scalpita per uscire fuori da quel cassetto in cui abbiamo lasciato morire di una morte lenta, e silenziosa, i nostri desideri più autentici. Il mio, è quello di diventare una scrittrice.
Oggi, questo sogno, cessa di essere tale. E si trasforma in un'ambizione. In un progetto. In una sfida. Da vincere.

Ho deciso di ribattezzare il mio blog per suggellare questa scelta. Un po' sofferta. Un po' pensata. Sicuramente voluta, e cercata.

"Nel giardino dei ciliegi" perché, secondo me, l'amore è come le ciliegie. Ricordate? Vivono in coppia e, il picciolo di ognuna di esse è congiunto, in cima, al picciolo dell'altra. Ma, se divise, e prese singolarmente, rappresentano due perfetti interi.
... lo spazio racchiuso nel perimetro di due cuori interi può contenere molto, molto più amore, di due metà.

" .. la principessa si è trasformata in ranocchio" quando ha capito che il Principe Azzurro non sarebbe arrivato. Allora, è diventata il Principe Azzurro di sé stessa. Ha imparato a salvarsi da sola.

Oggi cambio pelle. Ma non cambio cuore.

giovedì 28 aprile 2011

Le donne. Quell'universo conosciuto.

Imparano la sottile arte dell'equilibrismo già a quattro anni, quando, furbe e vanitose, si fingono indossatrici sui tacchi della mamma. Poco importa se quelle scarpe sono di dieci numeri più grandi, e se rischiano, seriamente, di spezzarsi l'osso del collo. Loro ci provano lo stesso.
Perché le donne ci provano sempre.

Quelle vere vanno a dormire struccate. E, al mattino, si svegliano con la faccia stropicciata dal sonno, l'impronta del cuscino stampata sulla guancia, i capelli da quattrocentomila volts, che sfidano allegramente la forza di gravità. Si guardano allo specchio. Non si piacciono. E si fanno una smorfia, una pernacchia, un gesto signorile col dito medio.
Perché le donne sanno ridere di sé stesse.

Quando vanno a fare la spesa struccate, in tuta, e con le infradito ( perché tanto il supermercato è a dieci metri. Prendo, pago, e scappo a casa ), si imbattono nel più figo del quartiere. Uno che, fino al giorno prima, neppure sapevano esistesse, e che ora, invece, è lì, davanti a loro, e chiede gentilmente "permesso", all'angolo tra lo scaffale della pasta e quello degli assorbenti extra-large, con le ali, il passaporto, le cerniere, e i bottoncini.
Se ci ritornano il giorno dopo, su un infallibile tacco dodici, con due mani di vernice sulla faccia, e la messa in piega fresca fresca del parrucchiere, al massimo inciampano nella dirimpettaia pettegola, o in un ottantenne allupato.
Perché le donne, qualche volta, sbagliano i tempi.

Alcune hanno una propensione naturale per la moda. Altre, si tuffano alla cieca nell'armadio.
In entrambi i casi, capita di rado che si sentano soddisfatte del risultato. Eppure, sono belle comunque.
Perché le donne sono belle in ogni caso. Specie quando indossano sé stesse.

Nascono con una strana propensione genetica, che permette loro di fare più cose contemporaneamente: parlare al telefono, rimescolare il sugo, annaffiare le piante, stendere il bucato, lavorare ad una sentenza, preparare un esame, fissare un incontro con il commercialista, ed uno con le amiche, salutare la dirimpettaia pettegola, sfogliare una rivista di moda, sopportare gli uomini.
Perché le donne sanno fare miracoli. Solo che, spesse volte, lo dimenticano.

Se un'amica piange per lo stronzo di turno, quello diventa stronzo pure per loro. La par-condicio dell'amore.
Perché le donne sono soldati con la gonna ( o con un tubino nero, e i tacchi a spillo ). Bravi marinai nella tempesta. Non abbandonano il fronte davanti al pericolo.

Sanno fanculizzare un uomo con innata eleganza. E non importa quanto, e quanto a lungo, piangeranno, accucciate nel buio della propria stanza. In quel momento, nel momento della fine, sanno tenere la schiena dritta, e la testa alta. Ed affrontano così qualunque tipo di dolore.
Perché le donne conoscono la differenza tra orgoglio e dignità. Hanno imparato da tempo quanto stupido possa essere il primo, ed irrinunciabile la seconda.

Conoscono l'arte dell'ironia. La pericolosità dell'intelligenza. La delicatezza di una femminilità che non cerca ostentazione ad ogni costo. Il talento delle nevrosi. La mania dello shopping compulsivo-lenitivo. L'importanza della solitudine. La vergogna di chi non sa piangere. La forza dirompente delle proprie, infinite, fragilità. La magnificenza di un sorriso dato. E di un sorriso preso.

Alla mia mamma. Prima di tutto.
Alle mie amiche: Elena. Antonella. E Simona. Amiche nuove, e amiche di sempre. Cosa farei senza di voi?
Alle mie lettrici.
Ad ogni donna. Piccola o grande. Giovane e meno giovane. Felice o sfortunata.
Ed un po' anche a me. Se permettete.


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martedì 26 aprile 2011

Due per Uno: Due

Avete presente la teoria, secondo la quale, l'amore è una mela e, ciascuno di noi, una metà della stessa, alla ricerca, costante, della parte mancante?
Bene. Prendetela. E buttatela.
L'amore è come le ciliegie. Vivono in coppia, e il picciolo di ognuna di esse è congiunto, in cima, al picciolo dell'altra. Ma, se divise, e prese singolarmente, rappresentano due perfetti interi.

Lo spazio racchiuso nel perimetro di due cuori interi può contenere molto, molto più amore, di due metà.

... quanti amori precari, in questa vita. Amori subaffittati. Amori a contratto. Amori licenziati.

Il mercato capitalistico dei sentimenti.



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martedì 19 aprile 2011

Cuori o Picche?

Una volta, se ti piaceva un ragazzo, dovevi avvicinarlo, guardarlo negli occhi, e dirglielo. Con tutto l'imbarazzo che ne conseguiva. E ti mordevi il labbro inferiore. E giocherellavi con una ciocca di capelli. E nascondevi le mani in tasca, perché non si vedesse quanto forte ti tremassero, per l'emozione.
Oggi, clicchi "mi piace" sotto una foto. E se altre dieci ragazze ti hanno preceduta, finisci col tuffarti nel calderone, diventando una delle tante.
Oggi, lo tagghi ( e, fidatevi, il verbo taggare neppure esiste. Io taggo, tu tagghi, egli tagga? ) in una nota, insieme ad altre persone di cui, in verità, non ti importa nulla ma che, in quel caso, ti parano il culo, e servono a non scoprire troppo il fianco, a fingere una disinvoltura che sei ben lontana dal provare.
Oggi, scrivi un messaggio allusivo in bacheca, nella speranza che lui lo legga. Posti una canzone, un cuoricino, uno smile. E, intanto, il contatto umano si perde nell'ologramma piatto del mondo cibernetico.

Questo post è per Te. Il commercialista col cuore inconsapevole di un poeta. Aspirante archeologo. Con l'elmetto in testa, ed una calcolatrice tra le mani.
Infinite volte, ho barattato il cuore con il cervello. Dal bisogno di non ferirsi nasce l'esigenza di difendersi. Ho stretto le mani a pugno, e le ho lasciate così troppo a lungo perché ricordassero come si fa a schiudersi, ad aprire il palmo, a mimare una carezza.
Eppure, con te, il meccanismo si inceppa. La meccanica delle emozioni controllate non funziona. Perché?
Tempo fa, lessi una frase che recitava, più o meno, così: "Non sai mai da quale parte arriverà il prossimo miracolo".
Ora, ammettiamo, per un attimo, che tu sia quel miracolo, o almeno la speranza, per me, di ritornare a "sentire". Sentire cosa, per adesso, non saprei dirlo con esattezza. Un friccicolio allo stomaco. Uno sfarfallio. Un battito in più. Un battito di troppo.
Dicevo, ammettendo che tu sia quel miracolo, hai scelto un modo sicuramente bizzarro di piombarmi addosso.
Non ti ho conosciuto al supermercato, alla prima di un film, ad una mostra d'arte, ad un aperitivo con gli amici, in un locale, in una discoteca, in un bar, in un buco qualsiasi in questo sputo di città.
Non ho tamponato la tua auto in retromarcia. Non eri seduto accanto a me, in treno, tornando a casa dall'università. Non ti ho incontrato in un negozio, mentre mi improvvisavo modella e compravo un abito. O in una libreria, scegliendo un libro.
Sono inciampata in te, e nel tuo mondo, attraverso la scatola nera di un computer. Come un'illusionista, che tira fuori un coniglio dal cilindro. Invece, a sto giro, dal cilindro della vita sei venuto fuori tu.

C'è un decalogo, una guida, un ricettario, per cui un'emozione debba percorrere sentieri già tracciati, conosciuti, preordinati? Non è forse vero che le cose più belle si rivelano in modi inconsueti? Un rapporto umano che nasce tra megabyte, password ed indirizzi mail, non è degno di essere considerato tale?

E non conosci l'oro liquido dei miei occhi, quando guardano il sole. E non sai che sposto i capelli sulla spalla destra, quando sono nervosa. Mi mordo l'angolo sinistro del labbro inferiore, quando sono emozionata, o sto per piangere. Non sai che ho una voglia di caffè a forma di cuore e, mi racconta mamma, una di fragola dietro il collo. Odio il rumore, le calze smagliate, i puffi e i finali scontati. Amo cucinare, dipingere e cantare. Non sai che ho imparato a pattinare prima ancora di camminare. Ho quasi dimenticato come si fa ad andare in bicicletta. Vorrei diventare campionessa di salto sulle molle, avere tre figli, e un tavolo da biliardo. Adoro il vino rosso ( e questo lo sai ), le patatine e le lunghe passeggiate a piedi. Non so mettere insieme due parole in inglese, ma con quelle in italiano vado forte. Tutto ciò che è finanza ed economia rappresenta l'equivalente di una martellata su un dito. Non sai che amo le foto, purché non sia io il soggetto. Guardare le persone di profilo, e risolvere i cruciverba il sabato notte.

Però, sai che mi piaci. E, da quando lo sai, mi eviti come la peste. Ed io so di piacere a te. Almeno un po'.
Capisco che il mondo, fuori dalla scatola nera, abbia mille attrattive, e sembri reale nella sua immediata percettibilità. Ma sono reale anch'io, sai? Sono reali le mie dita, che picchiettano veloce sui tasti, per tradurre in parole i pensieri. Sono reali le nostre conversazioni notturne, le confidenze, i segreti, le ansie, le paure, le aspettative che ci siamo reciprocamente raccontati, sentendo di poterci fidare istintivamente l'uno dell'altra. E' reale persino la gelosia che mi chiude lo stomaco quando mi accorgo che mille occhi di donna ti si posano addosso e che, oggi, una in particolare abita i tuoi pensieri. E non sono io.
Tuttavia, è forse troppo chiedere una possibilità? La possibilità di traslare nella realtà certe sensazioni? Magari ti accorgi che mi sbrodolo mentre mangio il gelato, ho la voce di un'oca strozzata, e l'eleganza di una testugine del Burundi. O magari no. Magari ti si apre un mondo.
Sarebbe così peccaminoso, e compromettente, un caffè insieme?

C'è una canzone che dice: "Ti scrivo in una camera, nella semioscurità. Da qui posso commuovermi, di nascosto al mondo, al quale ormai mi sento estranea nel profondo. L'immenso e il suo contrario sono luoghi del mio cuore".
Ci ho messo quasi tre giorni per scrivere questa pagina. Io, che sono così brava ad infilare una parola dietro l'altra, le parole, stavolta, non le trovavo.
Forse qualcuno mi dirà che sbaglio ad espormi così tanto. "Certe cose le fanno gli uomini. Le donne devono aspettare e lasciarsi corteggiare". Ma, a me sembra di aver vissuto buona parte della mia vita in attesa.
Oggi, mi alleggerisco il cuore. E corro un rischio.

giovedì 14 aprile 2011

Attenta o Non Attenta? ... questo è il problema.

Vorrei vivere alla "Sex and City". Con l'intelligenza acuta di Carrie, la sua ironia disarmante, e l'armadio da quattro milioni di dollari. Il cinismo di Miranda, la sua inconsapevole eleganza, e lo stupore col quale sembra muoversi tra la frenesia, ed il glamour, di New York. Il romanticismo di Charlotte, la sua fiducia incrollabile nelle persone. E nell'amore. La capacità di Samantha di fare sesso come gli uomini. Divertendosi. Senza alcun coinvolgimento sentimentale.
E quel gran fusto di Smith Jerald, si intende.

"Sono innamorata", in inglese, si dice: "I fell in love". Sono caduta in amore. Letteralmente.
Forse, è così che funziona. Nell'amore ci inciampi per caso. Contro l'amore ci vai a sbattere mentre sei distratta, vai di fretta, corri veloce sul tuo tacco dodici, per arrivare puntuale ad un incontro di lavoro. Ad un esame. Ad un appuntamento dal parrucchiere. All'inaugurazione di un nuovo locale. Ai saldi di fine stagione.
Se fosse davvero così, allora è possibile che io l'amore non l'abbia mai incontrato perché sono, e sono stata, troppo "attenta".
La troppa attenzione spaventa l'amore? Se ti scopre a cercarlo, Lui si nasconde?
In compenso, però, sono inciampata in una manica di senzapalle, bugiardi patologici, bastardi e bipolari, adulteri e sentimentalmente incapaci.
Vorranno scusarmi quelli di cui, al momento, mi sfugge il ricordo.

Ho lasciato aperta la porta del cuore, credendo che tutto il cielo potesse entrarvi. Ad oggi, ne ho visto solo un piccolo, piccolissimo spicchio. I restanti tre quarti del mio cielo, dove sono finiti?

domenica 10 aprile 2011

Pensieri in un collage.

Mettendo ordine negli armadi, e tra i pensieri, ho scovato abiti mai indossati, con ancora il prezzo, e l'etichetta. Abiti bellissimi, e dimenticati. Silenziosi, sulle proprie grucce, vestono la curva fantasma dei fianchi di un corpo di donna.
Ed ho pensato che la vita tutta è un po' così. Si desiderano fortemente cose, e persone. Ci si batte per averle. E poi, non si ha coraggio abbastanza per viverle. "Non è il momento. Non è il tempo. Non sono pronta. Non mi pare l'occasione adatta. Magari un altro giorno. Magari domani. Ecco, si. Domani .. " ... ma la vita non aspetta. Ogni giorno è un giorno speciale. Per indossare un abito nuovo. Per decidere di correre un rischio. Per alleggerirsi il cuore. E per amare.


Sei forte quando perdoni te stesso, e urli un bel "vaffanculo" a chi, il tuo perdono, non lo merita affatto.
Sei forte quando smetti di amare in silenzio. E decidi che l'amore va vissuto, non capito.
Sei forte quando smetti di porgere l'altra guancia, e cominci a voltare le spalle. Perché, davanti a certe cose, bisogna girarsi dall'altra parte. E cambiare direzione.
Essere forti significa, semplicemente, essere sé stessi. E non mostrarsi, ad ogni costo, superiori al dolore, e alle cattiverie.
Certe volte, dopo la caduta, si resta a terra. Distesi. Ed è bello guardare il mondo da lì. Con il naso per aria, ed il cielo sopra la testa.


Sul balcone della signora di fronte, due bambini fingono di essere una coppia sposata. Lei, è uscita per fare la spesa e, tornata nella casetta immaginaria, bussa all'immaginario citofono: "Amoreeee, apriiii. Amoreeeeee, apriiiiii. Amoreeeeeeeeeeee, apriiiiiiiiiiii. Amòòòòòòòò, arap sta port!!"
Le donne sono prepotenti fin da piccine. E gli uomini vengono addestrati a fare orecchie da mercante già nella culla.

mercoledì 6 aprile 2011

Quanto grandi eravamo da piccoli?

Io, da piccola, volevo fare la scrittrice. La giornalista. L'inviata di guerra. La volontaria in Africa. La Zingara e la Santa.
Volevo fare la cercatrice d'oro. La cow girl e l'astronauta. La pasticciera. Il pilota di formula uno. E giocare a pallavolo con Mila e Shiro.
Io, da piccola, volevo fare la principessa. E un po' pure la strega. La danzatrice del ventre, e l'equilibrista. Sul filo di seta. Con una rosa tra le mani, e il passo delicato delle ballerine.
Da piccola, volevo dare il mio nome ad una stella. Comprare una casa in ogni continente del Mondo. Avere tutti i libri che l'umana arte abbia avuto in sorte di concepire. E stiparli, stretti stretti, in una libreria, alta fino al soffitto, che assomigliasse a quella di un vecchio cartone Disney, "La bella e la bestia".

Da grande, ho capito che molti sogni non si realizzano. Se ne stanno accoccolati, accatastati, ammucchiati, senza una logica precisa, in un cassetto che porta la scritta: " Poteva essere e non è stato? ... ecchisenefrega!! "
Capita che la polvere del tempo li vesta, e li nasconda. Capita che un giorno, un po' per gioco, un po' per caso, tu decida di tirare un bel respiro, e poi soffiarci sopra. Come per gonfiare un palloncino. Ed allora, ti accorgi che, alcuni di essi, hanno conservato l'antica luce. Quella luce che solo due occhi di bambina sanno cogliere.

I sogni che non si realizzano raccontano le nostre storie. E dico storie perché, ognuno di noi, se ne porta dentro più di una.
C'è una storia scritta, ed una taciuta. Una storia vissuta. Ed un'altra solo sognata. C'è una storia crollata, ed una ricostruita.
Ci sono sentieri, macerie, salite e discese. Arcobaleni che narrano leggende. E nuvole che ammantano il sole.
Ci sono scelte che abbiamo fatto, e decisioni che non abbiamo saputo prendere. Dadi lanciati. Mani fortunate. Partite vinte. Rivincite sudate.
Ci sono treni in corsa, sui quali siamo saltati. E viaggi, che mai abbiamo compiuto.
Ci sono attese. E ritorni. Muri da scavalcare. Muri da sfondare. Alcuni, semplicemente, da ignorare.
Ci sono partenze. E ri-partenze.
"Domani è un altro giorno. Domani andrà meglio. Domani ci riporovo. Ricomincio da zero. Ricomincio da me."
Non ci sono mai arrivi. Né destinazioni definitive.
La Vita è una serie infinita di inizi ostinati, e fallimenti multipli. Gioie infrasettimanali, e sfide quotidiane.

Ma nessuna storia è davvero degna di essere raccontata se non c'è nessuno disposto ad ascoltarla. E condividerla.

venerdì 1 aprile 2011

La prima maglietta, a maniche corte, dell'anno. E una chitarra che non so suonare.
Giuditto Figaro I mi guarda, curioso, dalla sua vaschetta gialla. Un po' sonnecchia, indifferente. Un po' sorride, sornione, della sua buffa amica umana.
Mi presti il tuo guscio, Giudì? Te lo restituisco domattina, promesso.
Mi fai un po' di spazio? Sotto la palma c'è un posto di plastica anche per me.

Notte di armature. Che crollano.


Un bicchiere vuoto, alla mia destra. Il libro di storia economica, a sinistra. Provo a cercarvi della poesia, ma contro il feudalesimo anche gli evidenziatori profumati depongono le armi.
Gelsmino, Violetta, Orchidea e Lillà battano in ritirata.
Dopotutto, la vita è una partita che non si pareggia. O si vince. O si perde.

Notte di sorrisi. Che piegano le labbra, e non arrivano agli occhi.


Un letto vuoto, coperto di giallo, vestito di sole, tra le cui pieghe non ho voglia di tornare.
Stanotte non ho bisogno di niente, eppure desidero tutto. Stanotte, come tutte le notti, basto a me stessa. Ma ho voglia di fare l'amore. "L' amore vero, quello che, che non abbiamo fatto mai, quello dove, alla fine, si piange e si leccano le lacrime" ... ecco, quell'amore lì.

Notte di cuscini. Da abbracciare.


Quasi un anno, ormai. E sembra solo ieri. Un anno senza primi appuntamenti. Senza abiti nuovi da sfoggiare, o collezioni di farfalle da mostrare. Un anno. Senza l'incertezza dei baci appena nati, dei sorrisi un po' accennati, di quelle carezze, dapprima timide e impacciate che, lentamente, si fanno audaci, e poi, sapienti, trovano la strada.
Un anno senza telefonate da aspettare, teoremi canterini da applicare, notti insonni, e sbadigli inzuppati nel caffè.
Ho come l'impressione di essere tornata vergine. Emotivamente vergine.
Non più ingenua. Finta inesperta. Sognatrice incallita. Cinica alle prime armi.

Qualcuno poggi l'orecchio sul mio cuore di venticinquenne. E dichiari il decesso. Non c'è più battito.

Notte di assenze. Amore non risponde all'appello. E' uscito dall'aula. Si è chiuso nel cesso. E sta fumandosi uno spinello.

lunedì 28 marzo 2011

Diario di una viaggiatrice immaginaria.

Nutella, caffè, block notes e siti di viaggi. Mete, percorsi, destinazioni. Un infinito desiderio di partire. Allontanarmi da tutto. Ritornare da me.
Ischia. Capri. Isola del Giglio. Panarea. Cinque Terre. Inizia il toto-vacanza.
Vestiti leggeri, fiori e farfalle. Tacchi a spillo, e sandali di raso.
Il portafogli mi dice di restare con i piedi per terra. Io non l'ascolto, e volo felice.
Ultimo esame, ultimo sforzo. Poi, mare col sole, e martini col ghiaccio.
Il Nord o il Sud del Mondo. Ogni posto è un buon posto per ridipingere la vita. Una mano di colore, un tocco di salsedine, un soffio di vento.
La spensieratezza balla il tip tap sul parquet della mia mente. Il cuore è sereno. Non anela nient'altro, all'infuori di quello che ha. Di notte, lo ascolto chiedere a sé stesso: "Ma tu, sei ancora in grado di emozionarti?". La risposta è, immancabilmente, la stessa: "In questa materia sono stato rimandato a Settembre".

venerdì 25 marzo 2011

La geografia del mio destino.

Riccioli scuri, al profumo di mela.
Occhi di miele, vestiti di nero. Pastosa mistura di rimmel col sale. Giovane Pierrot, dall'aria imbronciata.
Una sola fossetta, a destra del volto. Da bambina ne contavo sicuramente due. Crescendo, tuttavia, molte cose vanno irrimediabilmente perdute, lungo il cammino.
Io, ho perso la seconda fossetta.

Al terzo albero di betulle, gira a destra. Percorri, con calma, il sentiero scosceso, ammantato di ciottoli e ricoperto di erbacce. Togli le scarpe, e cammina in silenzio. Entra nella mia vita in punta di piedi.

In cima, quattro vecchie panchine, provate dal vento, e dalle disattese speranze, contemplano silenziose uno strano suicidio. Si racconta che, ogni giorno, ad una certa ora, il sole muoia nel mare.

Mi trovi seduta lì. Sulla sinistra. Il lato del cuore.
Un libro tra le mani. E, nelle tasche, la voglia di essere felice.

venerdì 18 marzo 2011

0.46

... un cuore riunito. Profumo di pioggia. Ricordo di fragole, e di ciliegie. Fogli di carta, fili di perle, ed un pensiero ricorrente. Pizzi, merletti, strisce o pois. Una festa anni sessanta.
Oggi leggo la storia del mondo. Imparo la classe operaia. Traccio confini immaginari di terre sconosciute.
"Se solo piovesse dal basso verso l'alto, mi aggrapperei alla prima goccia che sale".

Buona notte. Alle cose che non so dire. Ai pensieri che non so tacere. Ai vaffanculo meritati. Ai sorrisi regalati.
Buona notte. Anche se la giornata non è andata come speravi. Anche se il sonno non arriva. Anche se domani non sarà un altro giorno, come in quel film. Anche se il dolore ha imparato
perfettamente cosa sia la puntualità.
Buona notte a chi mi fa stare bene. E non lo sa. O forse lo sospetta.
Buona notte al mondo, che non si ferma. Agli amori che non ci sono. Agli amori che se ne vanno. Alle canzoni che li raccontano.
Buona notte a chi aspetta, poggiato al vetro di una finestra. Buona notte ai principi, e alle principesse, che infondo vivono in ognuno di noi.

mercoledì 9 marzo 2011

La sindrome dei guanti spaiati.

Perché quando il freddo incalza, e le mani diventano livide, il secondo guanto scompare sempre.
Misteriosamente. E non c'è verso di ritrovarlo.
Si mettono d'accordo, i due. Se c'è l'uno, non può esserci l'altro. E' matematico.
Così, ogni anno, ne compri un paio nuovo. Ed ogni anno, puntualmente, la coppia scoppia.

Per tutta la vita mi sono sentita un guanto spaiato. Alla ricerca, costante, della parte mancante.
Oggi comprendo che la solitudine non è una condanna. Anche se fa paura.
La solitudine è un'opportunità. Irrinunciabile.
E' il silenzio che ti permette di ascoltare te stesso. Il cemento attraverso il quale costruisci le fondamenta della tua persona. Il colore delle tende alle finestre del cuore. La staccionata bianca, dipinta a mano, in un pomeriggio di sole, per proteggere i sogni. E le speranze.
E' l'altalena che ti spinge in alto. Così che le punte delle tue scarpe di bambina possano toccare il cielo, e le sue nuvole. O almeno illudersi di poterlo fare.
E' la cassetta della posta. Custode silenziosa, ed apparentemente indaffarata, di saluti e cartoline che hanno attraversano i porti del mondo, i suoi profumi, i suoi mille occhi, prima di posarsi sulle tue belle mani.
E' un saluto di benvenuto. A chi saprà meritare il tuo mondo. Quel mondo che hai costruito in silenzio. Giorno. Dopo giorno.

giovedì 3 marzo 2011

Ma il cuore, ce l'ha una casa?


Oggi, un bimbo: "Ma il cuore sta sempre nello stesso posto, oppure, ogni tanto, si sposta? Va a destra e a sinistra?".

Io: "No, il cuore resta sempre nello stesso posto. A sinistra .. " ...

Poi, un giorno, crescerai. Ed allora capirai che il cuore vive in mille posti diversi, senza abitare, davvero, nessun luogo.
Ti sale in gola, quando sei emozionato. O precipita nello stomaco, quando hai paura, o sei ferito.
Ci sono volte in cui accellera i suoi battiti, e sembra volerti uscire dal petto. Altre volte, invece, fa cambio col cervello.

Crescendo, imparerai a prendere il tuo cuore per posarlo in altre mani. E, il più delle volte, ti tornerà indietro un po' ammaccato. Ma tu non preoccupartene. Sarà bello uguale. O, forse, sarà più bello ancora. Questo, però, lo capirai solo dopo molto, molto tempo.
Ci saranno giorni in cui crederai di non averlo più, un cuore. Di averlo perso. E ti affannerai a cercarlo in un ricordo, in un profumo, nello sguardo di un passante, nelle vecchie tasche di un cappotto malandato.

Poi, ci sarà un altro giorno. Un giorno un po' diverso. Un po' speciale. Un po' importante. Quel giorno, capirai che non tutti hanno un cuore.


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sabato 19 febbraio 2011

Cose così.

... e il gelato con mamma, in un pomeriggio d'inverno. Perché le cose buone sfidano il freddo, e non esistono più le mezze stagioni.
... e le nuove scarpette da ginnastica, con tanti fiorellini colorati. Perché la primavera vuol essere annunciata.
... e la coda storta. La coda di lato. Che a tornare bambini basta poco.
... e le rose di stoffa, a mò di orecchini. Perché infondo è una questione di punti di vista. Come l'aquilone, che pensa che il mondo sia attaccato al filo.
... e le spalle nude. Ed il blu. Dipinto di blu.

martedì 15 febbraio 2011

La metamorfosi.


Sono ufficialmente entrata in modalità "esame agli sgoccioli". Anche "acqua alla gola" rende bene l'idea.

Perennemente in pigiama. Perché, se al mattino non devi vestirti, recuperi cinque minuti di studio, e ti senti meno in colpa per esserti ridotta all'ultimo pure stavolta.
Accovacciata sul letto. Con le gambe incrociate, il libro poggiato sulle ginocchia, e negli occhi la speranza di impararlo per osmosi. Alla fine, io ed il libro, stipuliamo un accordo di muta difesa: "Io non piaccio a te, tu non piaci a me, vediamo di sopportarci per altre due settimane ancora, così che nessuno dei due debba mai più rivedere l'altro".
Ogni volta che la mia povera mamma apre la porta della mia camera per portarmi un po' di caffè, o chiedermi se voglio mangiare qualcosa, sento nascere un grido nei cupi anfratti della mia gola, e lo vedo librarsi nell'aria: "Vattttttttteeeeeeeennnnneeeeeeee, e chiudi quella cazzo di porta!!!"

Ecco.

sabato 5 febbraio 2011

Tutti gli stronzi della mia vita.


Il traditore impenitente: l'ho conosciuto circa quattro anni fa. Occhi verdi, e sorriso sghembo. Disarmante. Ci frequentavamo da poco più di due mesi. Splendidi discorsi, grandi risate, sottilissima ironia, empatia sensuale ... e niente baci. Nemmeno l'ombra di un bacio, una carezza, una palpatina, il surrogato scemo di una mano morta sul culo. Niente.
E mentre mi rassegnavo all'idea di essere assolutamente indesiderabile, o alla assai più probabile eventualità che lui fosse gay, giunge, per sua stessa ammissione, l'inoppugnabile verità: il sorriso sghembo più sexy di tutti i tempi era fidanzato da oltre dieci anni, conviveva da qualche mese, ed aspettava un figlio dall'ignara compagna, che poi ha sposato meno di un anno dopo. Il reo confesso pensò bene di giustificare il tutto, dicendo ( cito testualmente ) : "All'inizio, tu dovevi essere solo una scopata, come tante altre. Non avevo previsto che mi sarei innamorato di te. Ed è per questo che mi sono trattenuto dal lasciarmi andare. Non volevo ferirti, non volevo farti del male". Lui, non voleva farmi del male. Che dolce. Non voleva. Spero di avergliene fatto tanto io con il calcio in culo che gli ho assestato.


Il bugiardo patologico: primavera di tre anni fa. Occhi scuri, belle mani, diplomaticamente affascinante. E creativo. Molto creativo. Così creativo da organizzarmi una caccia al tesoro. Con tanto di mappa, enigmatici indizi, indovinelli divertenti, vicoli stretti, vedute panoramiche, e romantiche sorprese.
Ad un certo punto dell'incantato percorso, mi porta in una stanza, mi benda ( con una fascia dell'inter, ndr ) e mi dice: "Scegli un numero da uno a cinque". Ed io, tra l'allegria e lo stupore, rispondo con voce sognante: "Quattro". Mi scopre delicatamente gli occhi e, davanti a me, accoccolati sue due sedie, stanno ad aspettarmi quattro splendidi peluche. L'intera collezione di Winnie The Pooh. Mancava solo l'elefantino, che non era riuscito a trovare, e che poi, anni dopo, mi ha regalato un tizio di Torino. Ma questa è un'altra storia.
Poi continua: "Scegli un altro numero". Stavolta opto per il due, e l'incredibile cornuto ( ah no, quella sono io --.-- ) mi viene incontro con un fascio di luminosissimi girasoli ed iris bianchi. Sapeva, lo schifosobuagiardosenzapalle ( e questo è proprio lui!! ) che io adoro i girasoli, molto più delle rose o di qualunque altro fiore che madre natura abbia avuto in sorte di concepire.
Quando scelgo il cinque, mi fa girare piano su me stessa così che gli occhi possano posarsi su uno striscione, alle mie spalle, che diceva: "La magia del sogno con te diventa realtà". Peccato che il sogno fosse, in verità, un incubo. Ma questo l'ho capito qualche tempo dopo.
Al numero tre corrispondeva un gigantesco uovo di Pasqua, più alto di me di almeno cinquanta centimetri. E al numero uno, si improvvisa cameriere, con due calici di vino rosso, ed un vassoio colmo di tutti i dolci che preferisco: la crostata con le fragoline di bosco, le barchette con la nutella, la caprese, la delizia al limone.
Me ne ritorno a casa camminando a dieci metri da terra, e con la precisa sensazione di aver incontrato l'uomo della mia vita. Ma l'uomo della mia vita era anche l'uomo della vita di un'altra, e l'ho scoperto meno di una settimana dopo, con un sms: "Sono uno stronzo, un bastardo, ma i miei sentimenti per te sono veri, sinceri. Io sono fidanzato da oltre tre anni e mezzo, ma non la amo, amo te. Se te l'avessi detto non sarebbe stato così fantastico. Ora lei sta venendo a casa mia, non cercarmi su nessuno dei due cellulari".
Spero che uno stuolo di cavallette abbia mosso un'insurrezione armata dentro le sue mutande.


Il maniaco: per la serie "non ci facciamo mancare nulla". L'ho conosciuto che avevo appena vent'anni. Eravamo alla cena di compleanno di un comune amico. Mi siede accanto, e si lancia in un disperato tentativo di seduzione. Con fermezza ed educazione respingo l'assedio, ma lui non molla. Al termine della serata, pensa bene di chiedere il mio numero di cellulare al ragazzo che festeggiava il compleanno. Il giorno successivo mi chiama, ed io, ignara che quel numero fosse il suo, rispondo. Quando capisco di chi si tratta, rinnovo l'invito a lasciarmi perdere e, inconsapevolmente, firmo la mia condanna. Da quel momento iniziano le telefonate ad ogni ora, del giorno e della notte, minacce di morte, e pedinamenti.
Non faccio ironia su questa storia perché, all'epoca, ho conosciuto il sapore vero della paura. Non sono mai riuscita a confessarlo ai miei genitori, per uno strano senso di vergogna che, ancora oggi, non saprei spiegare. Per due mesi ho vissuto nel terrore di non tornare viva a casa, ogni volta che uscivo per andare all'università o per una birra con gli amici. Ho cambiato numero di cellulare, ed allontanato tutte le amicizie comuni che avrebbero potuto rappresentare un tramite. Ho scoperto, anni dopo, che era sposato ed era suo costume importunare le ragazzine. All'epoca la legge sullo stalking non esisteva, altrimenti avrei denunciato. Ce n'erano gli estremi.


Tombeur del femme: con il cazzo trapiantato al posto del cervello. Letteralmente. Un'intensa estate, fatta di passione, calde giornate di sole, pomeriggi trascorsi nella sua casa al mare, e grandi, grandi, grandissime promesse.
Poi, un giorno, il dannato cellulare porta la dannata notizia: "La ragazza che frequentavo mentre lavoravo a Modena, è scesa a Napoli per farmi una sorpresa. Si ferma tre giorni. Non cercarmi, mi faccio vivo io appena se ne ritorna a casa. Non voglio perderti, non voglio che nulla cambi tra noi. Domenica mattina la riaccompagno in stazione, e la sera vengo a prenderti".
Che vuò? Che hai detto? Ho letto bene? Posi lei e prendi me? Poi posi me e riprendi lei? E non deve cambiare nulla? Non deve cambiare nulla?? Ma allora sei uno stronzo. Sei talmente stronzo che bisognerebbe spiegartelo con un disegno. Sei talmente stronzo, ma talmente stronzo, che bisognerebbe inventare un'altra parola per dirlo!!
Qualche giorno dopo. Altro dannato cellulare, altro dannato sms: "La storia della tipa di Modena venuta a Napoli per farmi una sorpresa, non era vera. Mi sono inventato tutto, perché non sapevo come fare a chiudere il rapporto con te. Stava diventando tutto troppo serio, ed io non sono pronto per un impegno vero".
Meno di ventiquattro ore dopo: "Mi manchi, non riesco a smettere di pensarti".
Muori.


Oggi racconto queste storie con divertita ironia. Ma, all'epoca, ogni delusione, ogni tradimento è stato doloroso quanto una stilettata al cuore. Il vero miracolo non sta nel fatto che io sia sopravvissuta a certi dolori, poiché sono certa che tanti altri, come me, portano sulle spalle il peso dei passati fallimenti, e delle ferite ancora cocenti. Il vero miracolo sta nel fatto che a sopravvivere sia stato il mio idealismo, il mio resistere. Perché io, nell'amore, ho smesso di crederci. Ma, infondo, continuo a sperarci.



Copyright Viola Editrice

martedì 1 febbraio 2011

Frammenti di poesia.


"Lascia le tue lacrime sul cuscino, incontrati con la vita, scontrati con il dolore, ruba l'amore.
Non avere una meta, ma cento.
Prova a ritornare, perché il ritorno da senso al viaggio.
Affrancati da te stesso, e dall'attesa. Per amare la vita bisogna tradire le aspettative.
Guardati intorno, e guardati da chi si professa libero. Il sapore della libertà è la paura. Solo chi ha paura della libertà ha il coraggio di inseguirla ... " ..

Le cento città. Vincenzo Costantino.

mercoledì 26 gennaio 2011


Se tra noi non ci fosse il silenzio, il necessario silenzio, il silenzio sano, il silenzio scelto, il silenzio che guarisce, il silenzio che spaventa ... ecco, se tra noi non ci fossero tutte queste cose, ti direi che mi manchi. In un modo in cui solo le cose importanti sanno mancare.
Mi manca la sensazione della tua presenza, prima ancora della presenza stessa. Mi manca il timbro della tua voce, quando l'inflessione napoletana ( che non hai perso ) sembra ballare la più buffa delle tarantelle sottobraccio alla cadenza milanese. Mi manca il "bla bla bla" con cui concludi le frasi, quando ti rendi conto di stare diventando logorroico, e che neppure dieci vite moltiplicate per dieci basterebbero a raccontare tutto quello che hai da dire. Mi manca il "buongiorno" alle undici del mattino, che io sono sveglia da cinque ore almeno, ma il giorno diventa buono davvero solo quando tu ti preoccupi per me. Crocerossino al maschile.
Mi manca il filo assurdo delle nostre conversazioni, che se ti dico "verde" tu non mi rispondi "speranza". Perché "speranza" lo direbbero tutti. Ma tu no. Tu mi diresti "codice genetico", "libellule e colibrì", "marmellata di pistacchi", "le foglie dell'albero di gelsomini della signora di fronte". Ed allora io ti racconterei di un film: "Dragon fly, il segno della libellula", in cui Bruce Willis segue la mappa intricata delle coincidenze della vita, che sembrano allontanarlo irrimediabilmente dal suo destino, per ricondurlo, poi, al destino stesso. Quelle coincidenze che - me lo hai insegnato tu - sono l'eco muta dell'anima.
Mi manca quel fare l'amore tutto nostro, che non è amore, non è sesso, non è solo passione, non è solo mente, non è solo pelle. Quel fare l'amore che, prima di essere qualcosa, deve non essere un'infinità di altre cose.
Mi manca l'esclusività. La certezza, un po' superba, un po' modesta, qualche volta spaventosa e spaventata, che certi legami sono, semplicemente, destinati ad essere.


Il posto vuoto lasciato da tutte queste cose che mancano, è stato usurpato da due scomodi inquilini: la paura e l'impotenza. La paura che, un giorno, i tuoi occhi si perderanno nella profondità liquida di altri occhi, prima di aver visto i miei. E non ci saranno centinaia di chilometri di terra bastarda a dividervi. L'impotenza che nasce dalla mera certezza di non poterlo impedire.
Sei come un libro che leggo, ogni volta che vado alla Feltrinelli. Sempre lo stesso libro. Delicatezza. Si intitola così. Delicatezza. E' un bel titolo, no? Non l'ho mai comprato, perché certe cose ci appartengono prima ancora di essere materialmente nostre. Eppure, lui è sempre lì, mi aspetta silenzioso, nel suo dotto angolino, su un polveroso scaffale, tra milioni di altri libri. Lo leggo a puntate. E non importa che passino giorni, settimane, o mesi. Torno ad immergermi tra le pieghe delle pagine con la stessa sintonia del primo giorno, come se non ci fosse stato distacco, separazione. Mi ritrovo, spontaneamente, nello spazio vuoto tra una parola e l'altra. In quello spazio c'è la mia storia. In quello spazio c'è la storia che non ho ancora scritto.
Un giorno, comprerò quel libro. Forse, solo dopo averlo letto tutto. Perché quando qualcosa ti cresce dentro, e dentro mette radici, in un limbo senza nome, senza confini, senza padroni ... vuoi poterlo accarezzare, toccare, respirare. Non ti basta star lì, a guardarlo da lontano.
Ed il possesso, il mero possesso, non c'entra nulla. Si tratta solo di umanità. Fragile, splendida, coraggiosa umanità. Ed io sono così terribilmente umana.