giovedì 28 aprile 2011

Le donne. Quell'universo conosciuto.

Imparano la sottile arte dell'equilibrismo già a quattro anni, quando, furbe e vanitose, si fingono indossatrici sui tacchi della mamma. Poco importa se quelle scarpe sono di dieci numeri più grandi, e se rischiano, seriamente, di spezzarsi l'osso del collo. Loro ci provano lo stesso.
Perché le donne ci provano sempre.

Quelle vere vanno a dormire struccate. E, al mattino, si svegliano con la faccia stropicciata dal sonno, l'impronta del cuscino stampata sulla guancia, i capelli da quattrocentomila volts, che sfidano allegramente la forza di gravità. Si guardano allo specchio. Non si piacciono. E si fanno una smorfia, una pernacchia, un gesto signorile col dito medio.
Perché le donne sanno ridere di sé stesse.

Quando vanno a fare la spesa struccate, in tuta, e con le infradito ( perché tanto il supermercato è a dieci metri. Prendo, pago, e scappo a casa ), si imbattono nel più figo del quartiere. Uno che, fino al giorno prima, neppure sapevano esistesse, e che ora, invece, è lì, davanti a loro, e chiede gentilmente "permesso", all'angolo tra lo scaffale della pasta e quello degli assorbenti extra-large, con le ali, il passaporto, le cerniere, e i bottoncini.
Se ci ritornano il giorno dopo, su un infallibile tacco dodici, con due mani di vernice sulla faccia, e la messa in piega fresca fresca del parrucchiere, al massimo inciampano nella dirimpettaia pettegola, o in un ottantenne allupato.
Perché le donne, qualche volta, sbagliano i tempi.

Alcune hanno una propensione naturale per la moda. Altre, si tuffano alla cieca nell'armadio.
In entrambi i casi, capita di rado che si sentano soddisfatte del risultato. Eppure, sono belle comunque.
Perché le donne sono belle in ogni caso. Specie quando indossano sé stesse.

Nascono con una strana propensione genetica, che permette loro di fare più cose contemporaneamente: parlare al telefono, rimescolare il sugo, annaffiare le piante, stendere il bucato, lavorare ad una sentenza, preparare un esame, fissare un incontro con il commercialista, ed uno con le amiche, salutare la dirimpettaia pettegola, sfogliare una rivista di moda, sopportare gli uomini.
Perché le donne sanno fare miracoli. Solo che, spesse volte, lo dimenticano.

Se un'amica piange per lo stronzo di turno, quello diventa stronzo pure per loro. La par-condicio dell'amore.
Perché le donne sono soldati con la gonna ( o con un tubino nero, e i tacchi a spillo ). Bravi marinai nella tempesta. Non abbandonano il fronte davanti al pericolo.

Sanno fanculizzare un uomo con innata eleganza. E non importa quanto, e quanto a lungo, piangeranno, accucciate nel buio della propria stanza. In quel momento, nel momento della fine, sanno tenere la schiena dritta, e la testa alta. Ed affrontano così qualunque tipo di dolore.
Perché le donne conoscono la differenza tra orgoglio e dignità. Hanno imparato da tempo quanto stupido possa essere il primo, ed irrinunciabile la seconda.

Conoscono l'arte dell'ironia. La pericolosità dell'intelligenza. La delicatezza di una femminilità che non cerca ostentazione ad ogni costo. Il talento delle nevrosi. La mania dello shopping compulsivo-lenitivo. L'importanza della solitudine. La vergogna di chi non sa piangere. La forza dirompente delle proprie, infinite, fragilità. La magnificenza di un sorriso dato. E di un sorriso preso.

Alla mia mamma. Prima di tutto.
Alle mie amiche: Elena. Antonella. E Simona. Amiche nuove, e amiche di sempre. Cosa farei senza di voi?
Alle mie lettrici.
Ad ogni donna. Piccola o grande. Giovane e meno giovane. Felice o sfortunata.
Ed un po' anche a me. Se permettete.


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martedì 26 aprile 2011

Due per Uno: Due

Avete presente la teoria, secondo la quale, l'amore è una mela e, ciascuno di noi, una metà della stessa, alla ricerca, costante, della parte mancante?
Bene. Prendetela. E buttatela.
L'amore è come le ciliegie. Vivono in coppia, e il picciolo di ognuna di esse è congiunto, in cima, al picciolo dell'altra. Ma, se divise, e prese singolarmente, rappresentano due perfetti interi.

Lo spazio racchiuso nel perimetro di due cuori interi può contenere molto, molto più amore, di due metà.

... quanti amori precari, in questa vita. Amori subaffittati. Amori a contratto. Amori licenziati.

Il mercato capitalistico dei sentimenti.



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martedì 19 aprile 2011

Cuori o Picche?

Una volta, se ti piaceva un ragazzo, dovevi avvicinarlo, guardarlo negli occhi, e dirglielo. Con tutto l'imbarazzo che ne conseguiva. E ti mordevi il labbro inferiore. E giocherellavi con una ciocca di capelli. E nascondevi le mani in tasca, perché non si vedesse quanto forte ti tremassero, per l'emozione.
Oggi, clicchi "mi piace" sotto una foto. E se altre dieci ragazze ti hanno preceduta, finisci col tuffarti nel calderone, diventando una delle tante.
Oggi, lo tagghi ( e, fidatevi, il verbo taggare neppure esiste. Io taggo, tu tagghi, egli tagga? ) in una nota, insieme ad altre persone di cui, in verità, non ti importa nulla ma che, in quel caso, ti parano il culo, e servono a non scoprire troppo il fianco, a fingere una disinvoltura che sei ben lontana dal provare.
Oggi, scrivi un messaggio allusivo in bacheca, nella speranza che lui lo legga. Posti una canzone, un cuoricino, uno smile. E, intanto, il contatto umano si perde nell'ologramma piatto del mondo cibernetico.

Questo post è per Te. Il commercialista col cuore inconsapevole di un poeta. Aspirante archeologo. Con l'elmetto in testa, ed una calcolatrice tra le mani.
Infinite volte, ho barattato il cuore con il cervello. Dal bisogno di non ferirsi nasce l'esigenza di difendersi. Ho stretto le mani a pugno, e le ho lasciate così troppo a lungo perché ricordassero come si fa a schiudersi, ad aprire il palmo, a mimare una carezza.
Eppure, con te, il meccanismo si inceppa. La meccanica delle emozioni controllate non funziona. Perché?
Tempo fa, lessi una frase che recitava, più o meno, così: "Non sai mai da quale parte arriverà il prossimo miracolo".
Ora, ammettiamo, per un attimo, che tu sia quel miracolo, o almeno la speranza, per me, di ritornare a "sentire". Sentire cosa, per adesso, non saprei dirlo con esattezza. Un friccicolio allo stomaco. Uno sfarfallio. Un battito in più. Un battito di troppo.
Dicevo, ammettendo che tu sia quel miracolo, hai scelto un modo sicuramente bizzarro di piombarmi addosso.
Non ti ho conosciuto al supermercato, alla prima di un film, ad una mostra d'arte, ad un aperitivo con gli amici, in un locale, in una discoteca, in un bar, in un buco qualsiasi in questo sputo di città.
Non ho tamponato la tua auto in retromarcia. Non eri seduto accanto a me, in treno, tornando a casa dall'università. Non ti ho incontrato in un negozio, mentre mi improvvisavo modella e compravo un abito. O in una libreria, scegliendo un libro.
Sono inciampata in te, e nel tuo mondo, attraverso la scatola nera di un computer. Come un'illusionista, che tira fuori un coniglio dal cilindro. Invece, a sto giro, dal cilindro della vita sei venuto fuori tu.

C'è un decalogo, una guida, un ricettario, per cui un'emozione debba percorrere sentieri già tracciati, conosciuti, preordinati? Non è forse vero che le cose più belle si rivelano in modi inconsueti? Un rapporto umano che nasce tra megabyte, password ed indirizzi mail, non è degno di essere considerato tale?

E non conosci l'oro liquido dei miei occhi, quando guardano il sole. E non sai che sposto i capelli sulla spalla destra, quando sono nervosa. Mi mordo l'angolo sinistro del labbro inferiore, quando sono emozionata, o sto per piangere. Non sai che ho una voglia di caffè a forma di cuore e, mi racconta mamma, una di fragola dietro il collo. Odio il rumore, le calze smagliate, i puffi e i finali scontati. Amo cucinare, dipingere e cantare. Non sai che ho imparato a pattinare prima ancora di camminare. Ho quasi dimenticato come si fa ad andare in bicicletta. Vorrei diventare campionessa di salto sulle molle, avere tre figli, e un tavolo da biliardo. Adoro il vino rosso ( e questo lo sai ), le patatine e le lunghe passeggiate a piedi. Non so mettere insieme due parole in inglese, ma con quelle in italiano vado forte. Tutto ciò che è finanza ed economia rappresenta l'equivalente di una martellata su un dito. Non sai che amo le foto, purché non sia io il soggetto. Guardare le persone di profilo, e risolvere i cruciverba il sabato notte.

Però, sai che mi piaci. E, da quando lo sai, mi eviti come la peste. Ed io so di piacere a te. Almeno un po'.
Capisco che il mondo, fuori dalla scatola nera, abbia mille attrattive, e sembri reale nella sua immediata percettibilità. Ma sono reale anch'io, sai? Sono reali le mie dita, che picchiettano veloce sui tasti, per tradurre in parole i pensieri. Sono reali le nostre conversazioni notturne, le confidenze, i segreti, le ansie, le paure, le aspettative che ci siamo reciprocamente raccontati, sentendo di poterci fidare istintivamente l'uno dell'altra. E' reale persino la gelosia che mi chiude lo stomaco quando mi accorgo che mille occhi di donna ti si posano addosso e che, oggi, una in particolare abita i tuoi pensieri. E non sono io.
Tuttavia, è forse troppo chiedere una possibilità? La possibilità di traslare nella realtà certe sensazioni? Magari ti accorgi che mi sbrodolo mentre mangio il gelato, ho la voce di un'oca strozzata, e l'eleganza di una testugine del Burundi. O magari no. Magari ti si apre un mondo.
Sarebbe così peccaminoso, e compromettente, un caffè insieme?

C'è una canzone che dice: "Ti scrivo in una camera, nella semioscurità. Da qui posso commuovermi, di nascosto al mondo, al quale ormai mi sento estranea nel profondo. L'immenso e il suo contrario sono luoghi del mio cuore".
Ci ho messo quasi tre giorni per scrivere questa pagina. Io, che sono così brava ad infilare una parola dietro l'altra, le parole, stavolta, non le trovavo.
Forse qualcuno mi dirà che sbaglio ad espormi così tanto. "Certe cose le fanno gli uomini. Le donne devono aspettare e lasciarsi corteggiare". Ma, a me sembra di aver vissuto buona parte della mia vita in attesa.
Oggi, mi alleggerisco il cuore. E corro un rischio.

giovedì 14 aprile 2011

Attenta o Non Attenta? ... questo è il problema.

Vorrei vivere alla "Sex and City". Con l'intelligenza acuta di Carrie, la sua ironia disarmante, e l'armadio da quattro milioni di dollari. Il cinismo di Miranda, la sua inconsapevole eleganza, e lo stupore col quale sembra muoversi tra la frenesia, ed il glamour, di New York. Il romanticismo di Charlotte, la sua fiducia incrollabile nelle persone. E nell'amore. La capacità di Samantha di fare sesso come gli uomini. Divertendosi. Senza alcun coinvolgimento sentimentale.
E quel gran fusto di Smith Jerald, si intende.

"Sono innamorata", in inglese, si dice: "I fell in love". Sono caduta in amore. Letteralmente.
Forse, è così che funziona. Nell'amore ci inciampi per caso. Contro l'amore ci vai a sbattere mentre sei distratta, vai di fretta, corri veloce sul tuo tacco dodici, per arrivare puntuale ad un incontro di lavoro. Ad un esame. Ad un appuntamento dal parrucchiere. All'inaugurazione di un nuovo locale. Ai saldi di fine stagione.
Se fosse davvero così, allora è possibile che io l'amore non l'abbia mai incontrato perché sono, e sono stata, troppo "attenta".
La troppa attenzione spaventa l'amore? Se ti scopre a cercarlo, Lui si nasconde?
In compenso, però, sono inciampata in una manica di senzapalle, bugiardi patologici, bastardi e bipolari, adulteri e sentimentalmente incapaci.
Vorranno scusarmi quelli di cui, al momento, mi sfugge il ricordo.

Ho lasciato aperta la porta del cuore, credendo che tutto il cielo potesse entrarvi. Ad oggi, ne ho visto solo un piccolo, piccolissimo spicchio. I restanti tre quarti del mio cielo, dove sono finiti?

domenica 10 aprile 2011

Pensieri in un collage.

Mettendo ordine negli armadi, e tra i pensieri, ho scovato abiti mai indossati, con ancora il prezzo, e l'etichetta. Abiti bellissimi, e dimenticati. Silenziosi, sulle proprie grucce, vestono la curva fantasma dei fianchi di un corpo di donna.
Ed ho pensato che la vita tutta è un po' così. Si desiderano fortemente cose, e persone. Ci si batte per averle. E poi, non si ha coraggio abbastanza per viverle. "Non è il momento. Non è il tempo. Non sono pronta. Non mi pare l'occasione adatta. Magari un altro giorno. Magari domani. Ecco, si. Domani .. " ... ma la vita non aspetta. Ogni giorno è un giorno speciale. Per indossare un abito nuovo. Per decidere di correre un rischio. Per alleggerirsi il cuore. E per amare.


Sei forte quando perdoni te stesso, e urli un bel "vaffanculo" a chi, il tuo perdono, non lo merita affatto.
Sei forte quando smetti di amare in silenzio. E decidi che l'amore va vissuto, non capito.
Sei forte quando smetti di porgere l'altra guancia, e cominci a voltare le spalle. Perché, davanti a certe cose, bisogna girarsi dall'altra parte. E cambiare direzione.
Essere forti significa, semplicemente, essere sé stessi. E non mostrarsi, ad ogni costo, superiori al dolore, e alle cattiverie.
Certe volte, dopo la caduta, si resta a terra. Distesi. Ed è bello guardare il mondo da lì. Con il naso per aria, ed il cielo sopra la testa.


Sul balcone della signora di fronte, due bambini fingono di essere una coppia sposata. Lei, è uscita per fare la spesa e, tornata nella casetta immaginaria, bussa all'immaginario citofono: "Amoreeee, apriiii. Amoreeeeee, apriiiiii. Amoreeeeeeeeeeee, apriiiiiiiiiiii. Amòòòòòòòò, arap sta port!!"
Le donne sono prepotenti fin da piccine. E gli uomini vengono addestrati a fare orecchie da mercante già nella culla.

mercoledì 6 aprile 2011

Quanto grandi eravamo da piccoli?

Io, da piccola, volevo fare la scrittrice. La giornalista. L'inviata di guerra. La volontaria in Africa. La Zingara e la Santa.
Volevo fare la cercatrice d'oro. La cow girl e l'astronauta. La pasticciera. Il pilota di formula uno. E giocare a pallavolo con Mila e Shiro.
Io, da piccola, volevo fare la principessa. E un po' pure la strega. La danzatrice del ventre, e l'equilibrista. Sul filo di seta. Con una rosa tra le mani, e il passo delicato delle ballerine.
Da piccola, volevo dare il mio nome ad una stella. Comprare una casa in ogni continente del Mondo. Avere tutti i libri che l'umana arte abbia avuto in sorte di concepire. E stiparli, stretti stretti, in una libreria, alta fino al soffitto, che assomigliasse a quella di un vecchio cartone Disney, "La bella e la bestia".

Da grande, ho capito che molti sogni non si realizzano. Se ne stanno accoccolati, accatastati, ammucchiati, senza una logica precisa, in un cassetto che porta la scritta: " Poteva essere e non è stato? ... ecchisenefrega!! "
Capita che la polvere del tempo li vesta, e li nasconda. Capita che un giorno, un po' per gioco, un po' per caso, tu decida di tirare un bel respiro, e poi soffiarci sopra. Come per gonfiare un palloncino. Ed allora, ti accorgi che, alcuni di essi, hanno conservato l'antica luce. Quella luce che solo due occhi di bambina sanno cogliere.

I sogni che non si realizzano raccontano le nostre storie. E dico storie perché, ognuno di noi, se ne porta dentro più di una.
C'è una storia scritta, ed una taciuta. Una storia vissuta. Ed un'altra solo sognata. C'è una storia crollata, ed una ricostruita.
Ci sono sentieri, macerie, salite e discese. Arcobaleni che narrano leggende. E nuvole che ammantano il sole.
Ci sono scelte che abbiamo fatto, e decisioni che non abbiamo saputo prendere. Dadi lanciati. Mani fortunate. Partite vinte. Rivincite sudate.
Ci sono treni in corsa, sui quali siamo saltati. E viaggi, che mai abbiamo compiuto.
Ci sono attese. E ritorni. Muri da scavalcare. Muri da sfondare. Alcuni, semplicemente, da ignorare.
Ci sono partenze. E ri-partenze.
"Domani è un altro giorno. Domani andrà meglio. Domani ci riporovo. Ricomincio da zero. Ricomincio da me."
Non ci sono mai arrivi. Né destinazioni definitive.
La Vita è una serie infinita di inizi ostinati, e fallimenti multipli. Gioie infrasettimanali, e sfide quotidiane.

Ma nessuna storia è davvero degna di essere raccontata se non c'è nessuno disposto ad ascoltarla. E condividerla.

venerdì 1 aprile 2011

La prima maglietta, a maniche corte, dell'anno. E una chitarra che non so suonare.
Giuditto Figaro I mi guarda, curioso, dalla sua vaschetta gialla. Un po' sonnecchia, indifferente. Un po' sorride, sornione, della sua buffa amica umana.
Mi presti il tuo guscio, Giudì? Te lo restituisco domattina, promesso.
Mi fai un po' di spazio? Sotto la palma c'è un posto di plastica anche per me.

Notte di armature. Che crollano.


Un bicchiere vuoto, alla mia destra. Il libro di storia economica, a sinistra. Provo a cercarvi della poesia, ma contro il feudalesimo anche gli evidenziatori profumati depongono le armi.
Gelsmino, Violetta, Orchidea e Lillà battano in ritirata.
Dopotutto, la vita è una partita che non si pareggia. O si vince. O si perde.

Notte di sorrisi. Che piegano le labbra, e non arrivano agli occhi.


Un letto vuoto, coperto di giallo, vestito di sole, tra le cui pieghe non ho voglia di tornare.
Stanotte non ho bisogno di niente, eppure desidero tutto. Stanotte, come tutte le notti, basto a me stessa. Ma ho voglia di fare l'amore. "L' amore vero, quello che, che non abbiamo fatto mai, quello dove, alla fine, si piange e si leccano le lacrime" ... ecco, quell'amore lì.

Notte di cuscini. Da abbracciare.


Quasi un anno, ormai. E sembra solo ieri. Un anno senza primi appuntamenti. Senza abiti nuovi da sfoggiare, o collezioni di farfalle da mostrare. Un anno. Senza l'incertezza dei baci appena nati, dei sorrisi un po' accennati, di quelle carezze, dapprima timide e impacciate che, lentamente, si fanno audaci, e poi, sapienti, trovano la strada.
Un anno senza telefonate da aspettare, teoremi canterini da applicare, notti insonni, e sbadigli inzuppati nel caffè.
Ho come l'impressione di essere tornata vergine. Emotivamente vergine.
Non più ingenua. Finta inesperta. Sognatrice incallita. Cinica alle prime armi.

Qualcuno poggi l'orecchio sul mio cuore di venticinquenne. E dichiari il decesso. Non c'è più battito.

Notte di assenze. Amore non risponde all'appello. E' uscito dall'aula. Si è chiuso nel cesso. E sta fumandosi uno spinello.