martedì 29 dicembre 2015

Nonno Carlo

Nonno Carlo è morto quando avevo sei anni. Era il padre di mio padre.
Il giorno dei funerali, mi portarono a casa di Nonno Gennaro e Nonna Rosina, i genitori di mia madre, così che non presenziassi ad un momento troppo difficile da sublimare per una bambina di soli sei anni.
Quando rientrai, a pomeriggio inoltrato, trovai mio padre sdraiato di sbieco, con le scarpe penzoloni fuori dal letto, vestito di scuro. Leggeva un manuale di istruzioni. O, probabilmente, lo sfogliava soltanto. Vedendomi, mi accolse dicendo: "Oggi mio padre è morto, e tu non c'eri".
Non so se questa cosa, papà, ricorda di avermela detta. Io, però, me la sono portata appresso da allora, per i successivi ventitré anni. La sentivo riecheggiarmi dentro come un severissimo rimprovero, per giunta immeritato. Cosa potevo saperne io, della morte, a soli sei anni? Io, che mi stavo appena affacciando alla vita e del mondo non conoscevo ancora nulla. Mi avevano detto di andare a casa dei nonni materni e l'avevo fatto. Avevo ubbidito. Perché, allora, venivo biasimata?

Poi, qualche sera fa, sotto la doccia, un guizzo improvviso mi ha attraversato la testa bagnata. Il giorno della morte di Nonno Carlo, mio padre aveva trentadue anni. O giù di lì. Appena tre in più rispetto a quanti ne ho io adesso.
Nell'immaginazione - certe volte impudente e meschina - dei figli, i genitori sono sempre stati adulti. Sono nati grandi.
Per me, ad esempio, mio padre ha sempre avuto cinquantacinque anni, come oggi. Anche quando ne aveva venti. O ventisei. O trentadue. Quasi che non riuscissi a vedere l'uomo dietro il padre, o la ragazza con la gonna a ruota e i fianchi stretti prima che diventasse mamma.
Perché immaginarli giovani significa vederli umani per la prima volta. E percepirli umani vuol dire ammettere che non sono infallibili. Che possono cadere. Possono sbagliare. Possono persino morire.
Un figlio fa fatica a perdonarle certe umanità.

Perciò, soltanto adesso capisco che mio padre perdeva suo padre mentre imparava a diventare mio padre. E quel: "Oggi mio padre è morto e tu non c'eri" non era affatto un rimprovero. Al contrario, era il suo modo, dolorante e sofferto, di aggrapparsi a me, alla persona più importante della sua vita, mentre un altro pezzo di vita veniva dato alla terra e alla polvere.
Perciò, quando tornerò a casa, mi siederò a tavola e dirò a mia madre e a mio padre: "Raccontatemi chi siete".

E' questo l'unico vero proposito che ho per il nuovo anno. E per quelli futuri.

Antonia Storace

mercoledì 2 dicembre 2015

Di figli e coperte

Certi gesti li fanno le madri.
Piegare le coperte è uno di questi.
Lei ne afferra la cima da un lato, tu la prendi dall'altro e, quando la stoffa è squadernata a mestiere, la piegate, per lungo, nelle due prime metà. Non paghi, ripetete la scena, come due commedianti sulle travi di legno di un palco, fino ad ottenere una benda liscia, tesa e senza ombre.
Ci si allontana il più possibile per conquistare un risultato decente e non dover cominciare ogni cosa da capo. Ci si stacca di netto. Ciascuno dalla sua parte. Come quando vieni al mondo e abbandoni, di colpo, quella culla calda e liquida che era la pancia.
Poi sopraggiunge l'epilogo, l'atto finale: il figlio, con il suo lembo di coperta stretto tra le mani, si avvicina alla madre. Lei resta ferma, aspetta paziente che lui copra le necessarie distanze e, quando finalmente arriva, raccoglie entrambe le estremità, se le porta all'altezza del petto e piega la stoffa per l'ultima volta, usando lo sterno come base d'appoggio. Lì, nello stesso punto in cui anche la sua testa di bimbo s'appoggiava, col naso gocciolante e i capelli sparati, prima che diventasse troppo alto per ricordarselo.
Quel punto lì, di sterno e coperte, è punto d'approdo di ogni bene.
Certi gesti li fanno le madri.
Accogliere e raccogliere figli e lenzuola, ad esempio.

Antonia Storace

Copyright 2 Dicembre 2015

lunedì 23 novembre 2015

Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne

Gli schiaffi non sono carezze.
Mercoledì 25 Novembre - giornata internazionale contro la violenza sulle donne - presso la gelateria e centro policulturale Splash - in via Eurialo 104, Roma - alle 18.00, si terrà un incontro spettacolo, con il patrocinio della Capitale, l'intervento di associazioni attivamente impegnate, le riviste "Noi donne" e "A buon diritto", ed Amnesty International.
L'obiettivo è denunciare una tra le forme di violenza, fisica e psicologica, tra le più subdole ed aberranti che esistano.
Avrò l'onore di prendervi parte anche io, con un mio testo, insieme ad altre meravigliose scrittrici ed attrici, ciascuna delle quali metterà la sua storia, e la sua arte, al servizio di una giusta causa.

Antonia Storace

venerdì 30 ottobre 2015

In questi giorni, ho visto una donna di 62 anni prendersi cura di un uomo di 87, costretto in un letto d'ospedale.
L'ho vista imboccarlo come fosse un bambino, sbucciargli le mele più buone e portargli l'acqua alla bocca con amorevole cura; l'ho guardata inumidirgli le labbra, passargli un panno pulito su quella fronte di nonno che il tempo ha disegnato con la grafite delle sue storie; l'ho vista fare esercizio di pazienza davanti ai capricci e tirarlo su, con le sue braccia esili e il suo coraggio di donna, affinché stesse comodo dentro quelle lenzuola bianche di niente; l'ho osservata mentre parlava con i medici, tenendo dritte le spalle davanti alla diagnosi di una vita che rifugge da ogni fasulla certezza.
In questi giorni, ho visto una donna di 62 anni prendersi cura dell'uomo che le ha insegnato a guardare la linea d'orizzonte dall'alto delle sue spalle; che le ha montato le rotelle alla bicicletta, per farle sicura la strada. E poi gliele ha tolte, quando ha capito che nessuna strada è sicura davvero e le gambe devono farsi forti da sole; un uomo che ti porta all'altare e poi impara a camminarti dietro di un passo, senza farsi vedere, perché le presenze autentiche sono solide e non ingombrano. Quell'uomo che, per tutta la vita, racconti in due sillabe uguali, e ne accenti la coda alla fine, come in un guizzo di fulgida grazia che tende verso l'alto il suono più bello del mondo: papà.

Antonia Storace

sabato 10 ottobre 2015

Le strade di Roma sono pagine d'asfalto. Dichiarazioni d'amore, e di bombolette spray, ne vestono a tratti il manto bruno. E' come camminare sulle storie della gente, sopra i loro amori falliti, sopra le gioie strappate con i denti della non rassegnazione.
Ieri mattina, mentre passeggiavo in Via Cerveteri, il piede destro mi è finito sulla parola "ritroveremo".
Ritrovarsi è come trovarsi due volte. Concedere una possibilità di riscatto ad un verbo insoluto. Perché capita che trovarsi una volta sola non basti. E' necessario perdersi e poi incontrarsi ancora, dentro un verbo ostinato che non contempla la resa e, nei giorni difficili, sa amare e lottare più forte di tutti.
Il piede sinistro, invece, ha calpestato la parola "invincibile". Che non può essere vinto, letteralmente. Che non si da per vinto. Che non cede. Che non si piega davanti all'ostacolo. Un eroe moderno, dentro un mondo di cinici e disincantati.
Così, ieri ho camminato sopra una storia dura e difficile, che ha il coraggio di ritrovarsi e l'ardire ammirevole di impegnarsi ad essere invincibile.
Mi è sembrata una bella storia. Una di quelle che, almeno una volta nella vita, tutti abbiamo vissuto.

Antonia Storace
Copyright 10 Ottobre 2015

mercoledì 30 settembre 2015

La sposa

Alla Stazione di Roma Termini c'è una donna vestita di bianco. Il corpetto a fasce incrociate le tiene alti i seni, e le strizza forte il cuore. Quasi a volerlo placcare, in quel tum - tum nevrotico che, certe volte, sfugge ad ogni umano controllo.
La gonna è lo sbuffo ampolloso di un bambino annoiato, quando non vuole saperne di obbedire alla mamma. Ai piedi indossa un paio di sneakers rosso fiammante: due mini Ferrari con motore otto cilindri per correre lontani da un passato che non c'è.
"Taxiiiiiiiiii", chiama con voce squillante, agitando le dita sottili nell'aria. Non porta anelli. Solo l'ombra di un segno più chiaro lì, dove un tempo deve averne indossato uno.
"Taxiiiiiiiii", urla di nuovo. Poi prende il suo trolley verde speranza, lo adagia per terra e ci sale sopra. Come un marinaio di vedetta, allunga il collo, aguzza la vista, si volta a destra e poi a sinistra, così che nessun cavallo, carrozza, bici o auto sfondata possa sfuggirle.
Nessuno si ferma. Eppure tutti la guardano. Il mondo le osserva sempre le persone capaci di sovvertire gli schemi. Le guarda incantato. Ma le teme troppo per potersi avvicinare sul serio.
"Taxiiiiiii", e si siede sulla valigia. Scomodo sedile verde acido, con dentro chiusa tutta la sua storia.
Allora si alza, drizza la schiena, atteggia le braccia come la dama di un valzer intorno alle spalle di un cavaliere fantasma ed inizia dolcemente a ballare. All'ultimo giro di danza, due mani l'afferrano. Lui indossa una camicia bianca come chi è senza peccato, e un pantalone lercio - tenuto su da due bretelle sottili - come chi ha camminato a lungo ed è caduto spesso.
Lei non lo conosce. Lui non è il suo sposo. Lei non si è mai sposata.
Questa sera, però, ha smesso di prendere il dolore sul serio e ha cominciato a prenderlo in giro. Ha indossato il suo abito sciagurato di promesse infrante, ha regalato il bouquet scomposto di rose bianche a una ragazza triste, e ha scelto di partire, di andare lontano, mentre il mondo la guarda incantato e la giudica perché la invidia.

Antonia Storace

venerdì 21 agosto 2015

Incipit



L'ha scalciato via con la punta delle scarpe. Poi ha raccolto i capelli in una coda alta, altissima, ed è rimasta a guardarlo. Lo faceva sempre, quando voleva pensare, quando qualcosa le frullava nella testa troppo forte, troppo veloce. Si levava i capelli dalla fronte, Anita. Li tirava indietro, in un laccio di ordine e rigore, come se questo potesse aiutarla a scoprire gli occhi e guardare meglio il mondo.
E quando le è parso che il mondo fosse un po' più chiaro, è corsa a riprendere quel sasso bianco, piatto e liscio, perfetto per un lancio. Allora si è messa fronte al mare, Anita, ha flesso il polso e l'ha scagliato lontano, a pelo d'acqua, senza rimpianti. Ha fatto tre saltelli, il sasso. Tre cerchi pieni e tondi. Ed è colato a picco. Come il magone che Anita aveva in gola. E' colato a picco pure quello. Giù, giù, dentro lo stomaco. Ma è arrivato secondo, il magone. Prima di lui, dentro lo stomaco di Anita, c'erano già le sue paure, le sue vecchie insicurezze, quella tendenza scema a sentirsi piccola, a farsi un po' comandare la vita.
Il medico l'aveva chiamata "gastrite nervosa", come se le si fosse stressato lo stomaco invece del cuore. Anita le faceva scendere sempre più in basso del cuore le sue streghe dell'anima, così che non potessero infestarlo e lo lasciassero in pace, pulito e senza ombre. Una landa rigogliosa e deserta in cui stendersi di schiena, pancia all'aria, a guardare il cielo. Allora quelle oltrepassavano il cuore e finivano nello stomaco.
Perciò ha pianto, Anita. Per quel suo stomaco stressato e per il gran casino che c'era dentro. Ha pianto un pianto pulito e vero. Pieno di acqua e di sale, proprio come il mare quando ce l'hai di fronte.
Hai il mare in faccia, dopo un pianto così.

Giorgio si è messo alle sue spalle, le ha sciolto i capelli, lasciando che ricadessero liberi e disordinati. Come ad ordinarle: basta pensare. Poi l'ha presa per mano e le ha detto piano: "Vieni. Ti insegno a nuotare".

Antonia Storace

lunedì 3 agosto 2015

Tra il Tirreno e lo Ionio

Questo fine settimana, ho raccolto molte storie di donne. Ciascuna di loro aveva il tratto potente della rinascita, della ripartenza: dal letto nuovo dopo un tradimento, al trasferimento in una città lontana per inseguire un sogno.
E parlo di Donne Donne, sia chiaro. Donne che hanno conosciuto i veri inganni della vita: dal dolore della malattia al rammarico di una separazione. Donne che sono donne e madri, bilance umane capaci di tenere in equilibrio ogni cosa.
A guardarle non ci si crede. Ti chiedi come sia possibile che un solo cuore di donna possa raccogliere, dentro di sé, così tante storie, possa aver ricominciato così tante volte, possa aver urlato: "Ce la faccio. Giuro, ce la faccio", mentre il mondo intorno passava liscio e nemmeno le guardava. Se ne è accorto dopo, il mondo. Quando le ha viste attraversare nuovamente le sue strade con la falcata potente di due gambe che sono rimaste in piedi, dritte e belle, nonostante tutto. Allora le ha guardate, il mondo. Ne ha ascoltato il passo. E sebbene fosse quello di una sola donna, aveva il rinculo possente di un esercito in marcia.

Non ci vogliono bussole per orientarsi, nella vita. Basta avere la fortuna di incontrare una donna come questa, e prenderla ad esempio. Io, in questi giorni, ho fatto scorta: ne ho incontrate cinque.

La mia felicità è roba mia, ho scritto una volta. Non la delego a nessuno.
Fate attenzione a credervi felici solo quando avete qualcuno accanto poiché, inconsapevolmente, state dicendo a voi stesse: posso essere felice solo se c'è lui; se lui se ne va, io sono finita. E invece no. Se lui se ne va - o anche se lei ne ne va - voi spostate i mobili in casa, partite da sole, andate al mare, leggete, leggete un sacco, compratevi un vestito giallo come il sole, tenete un diario, tagliatevi i capelli, siate ciò che avreste sempre voluto essere prima di credere che, per stare dentro ad una storia, fosse necessario adeguarsi.
La gente vi guarderà e penserà che siete cambiate. Voi riderete, perché avrete cominciato ad essere voi stesse.

E un'altra cosa voglio scrivere, prima di salire in macchina e partire per la Calabria. Non dite mai ad un'amica in difficoltà: "Devi tirare fuori le palle". Ma proprio no. Le palle le hanno assegnate agli uomini e loro - alcuni, non tutti - sanno come usarle.
Una donna tira fuori la sua intuizione, il coraggio di una tigre che non si fa addomesticare, l' intelligenza emotiva, il talento multitasking che le rende capaci di fare mille cose insieme, e tutte bene.
Le palle no, lasciamole agli uomini. Che quando ne incontri uno che le ha e sa usarle, giuro, è la fine del mondo. Perché certi uomini sono proprio la fine del mondo. Altri, invece, meriterebbero di andare affanculo fino alla fine del mondo. Ma questa è un'altra storia, di cui loro non sono protagonisti.

Buone vacanze fanciulle belle. Vi racconterò anche questo viaggio, tra il Tirreno e lo Ionio.

Antonia Storace

mercoledì 22 luglio 2015

Di sorrisi e lune verticali

Questa sera, la luna è uno spicchio di luce verticale. Gli occhi di chi ancora guarda il cielo la puntellano ai lati, così che resti dritta, impalata sopra quella fitta trama di buio e di stelle, senza cadere mai. Come quando provi a camminare sulla punta dei piedi e le mani cercano, istintivamente, librerie e tavoli e credenze cui aggrapparsi.

E' un sorriso messo strano, la luna, questa sera. Ti è caduto dentro qualche tempo fa, e ci è rimasto.
Lui ha dimenticato di portarselo via quando se n'è andato. Si è preso tutto: il tuo meglio, il tuo peggio, il tuo insomma. Ma quel sorriso no, se l'è scordato. Così lei, di lui, oggi ha la storia di un sorriso cui mancherà sempre un angolo, una minuscola punta di preziosissima verità.

Qualche volta te lo domandi. Ti chiedi se quel sorriso dimenticato non sia invece una scusa, il pretesto che lui ha scelto di lasciarsi alle spalle per poi poter tornare.
Perciò, questa sera, vorresti che guardasse la luna, come stai facendo tu. E, ricordandosi di quel suo sorriso abbandonato dentro le tue costole, venisse a riprenderselo, portandosi appresso tutto il pezzo che manca.

Stanotte, la luna è la lama pungente di un ricordo.
Come quando provi a camminare sulle punte, e le mani cercano a tentoni i mobili intorno ma non trovano nulla.
Allora tu cadi.

Antonia Storace

lunedì 20 luglio 2015

Ieri mattina, bloccata nel traffico della Costiera Amalfitana - in direzione de La Feltrinelli di Salerno - in radio passava la canzone Grand'Uomo di Claudio Baglioni, nel verso che fa: "Ma ti giuro che, io sarò qualcuno e griderò al futuro il vento che c'è in me. Come è vero che c'è più tra zero e uno, che non tra uno e cento, ed uno è quello che ai carri chiude il passo, fa stramazzare il fiato, la morte porta a spasso
e io chi sono stato per essere un grand'uomo. La fantasia è dove non c'è
l'ipocrisia della realtà, e quel che dai di te mai niente te lo porterà più via. La poesia è come un'idea, non cerca verità la crea. E se non credi sempre in me fa che io creda sempre in te...".
Era la tua canzone, la canzone di chi, qualche anno fa, è diventato un pezzo di cielo incastrato nel tetto del mondo.
Quando l'ho sentita, ho capito che sarebbe andato tutto bene. Che tu c'eri, anche se non potevo toccarti. C'erano le Aquile, il profilo pulito delle loro ali possenti quando si stagliano in volo. Avrei alzato gli occhi in prossimità del sole e ti avrei visto, perché la poesia beffa la morte e fa eterna la vita.
Per questo scrivo.

Ci sono giorni in cui il mondo indossa il vestito buono della domenica e da il meglio di sé. Così è stato questo fine settimana, all'associazione SpazioDonna di Salerno. Un centro di accoglienza per chi ha incontrato l'uomo nero dell'amore, ci ha vissuto insieme per un po' e, dopo avergli detto addio, si è rimessa in piedi, dritta e tesa come un fuso.
Certe storie sono mostri travestiti. Certe donne sono bellissimi guerrieri.
Certe storie sono mostri travestiti. Certe donne sono luoghi bagnati dalla luce, ed una parete di gelsomini ad affondarci dentro il naso.
Certe storie sono mostri travestiti. Certe donne sono teste fine, scalatrici di sogni, lucidissime visionarie e costruttori di nuovi mondi possibili.
Quando le seconde incontrano i primi, non c'è partita: i mostri perdono.
Quando certe donne - che sono guerriere e luoghi, teste fine, lucide visionarie e costruttori di mondi - incontrano i mostri, ed il gioco perverso di chi ti vuole piccola ad ogni costo, questi affogano dentro il mare piallato della loro squallida dis-umanità. Li inghiotte l'abisso e la terra si rifiuta di sputarli fuori. Perché davanti a certe donne, c'è solo da tacere ed applaudire.

Dopo questo fine settimana, ogni volta che un dolore nuovo proverà a varcare il confine dei miei giorni, farò come mi ha suggerito la mia amica Rita: chiuderò gli occhi, visualizzerò quel dolore e, con la mente, immaginerò di dargli un bel calcio in culo.
Alla fine, avrò scansato il male e rassodato le cosce.

Antonia Storace

mercoledì 15 luglio 2015

Ho incontrato Sherlock Holmes e la sua ombra antica. Con vecchi trucchi da investigatore navigato, ho ingigantito all'occhio le rotondità del cuore: ho così scoperto che, in quel piccolo pugno chiuso, ci sono conche e ci sono spigoli, per accogliere e per combattere.
Ho cercato Julia Roberts e Hugh Grant a Notting Hill ed ho capito che l'amore, qualche volta, è una piccola porta blu che resta chiusa. Il passato non vale più di una calamita dozzinale sul frigo verde acido di una cucina hi-tech. Se cade, e si rompe, è meglio.
Ho chiesto aiuto a J.K. Rowling, ad Harry Potter, alla saggia barba del potentissimo Silente. Mi hanno detto che la magia abita in ciascuno di noi: si chiama intuito.
Mi è parso chiaro che ogni storia è un'opera teatrale ed ognuna ha il suo fantasma ad infestarle il sonno: amori disastrati e disastrosi; fallimenti scomodi come scarpe troppo strette; ritardi accumulati sulla vita e i suoi traguardi.
Si. L'amore esiste, ma va lavorato ai fianchi. Nessuna storia nasce perfetta e nemmeno, con gli anni, lo diventa.
Diffidate da chi si vende per più di quel che è: piedi intrecciati sopra letti sfatti; fiori impalati dentro i vasi; luci di candela e calici di vino. Probabilmente, nel letto sfatto ci è passato qualche amante; l'acqua dentro i vasi puzza di marcio da giorni; le candele sono poco più che mozziconi di cera riciclati.

La sfida delle sfide è amare qualcuno così com'è.

La parola "difetto" viene dal latino, "difectus". Significa "mancanza". E le mancanze vanno riempite. Non cambiate. Sono piccoli buchi del cuore da colmare con altro cuore. Farlo spetterebbe a noi.
Ma farcire d'amore quelle umane manchevolezze è un fine lavoro di travaso. Significa darsi, spendersi ben oltre la sufficienza in un mondo in cui l'amore è un sei politico in pagella e la mediocrità una scelta comoda.
Cambiare no. Cambiare, chissà perché, spetta sempre all'altro. "Cambiare" è un verbo più facile di "riempire".
Così facile che, talvolta, non si sceglie il tipo di persona con cui stare, ma il tipo di storia in cui impegnarsi. Ecco perché donne intelligenti, donne fuori dal comune, donne capaci di amare di un amore bello e tondo, come la luna quando è piena e senza sconti, restano fregate, a vantaggio di fanciulle più... semplici. Per così dire.
Le prime sono storie in cui entrare con tutte e due le scarpe e tutte e due le palle. Per le seconde, invece, ne basta pure mezza. E a volte manco quella.
Certe storie sono rosso fuoco. Altre rosa pallido. Nell'evoluzione delle cromie, un sacco di gente si perde.
Perciò si, l'amore esiste. Ma non è roba per tutti.

Antonia Storace

martedì 14 luglio 2015

Tutto inizia con un sogno

Questa l'ho comprata a Covent Garden. È il solo ricordo di Londra che ho portato con me: una scatolina in legno, vuota, ed il suo bellissimo insegnamento di vita.
Ci sono lezioni che si pagano care. Altre costano appena tre pound.
"Ogni cosa inizia con un sogno", dice la scritta.
A me piace pensare che sia dedicata ai visionari, a chi scala le montagne dell'impossibile per renderlo possibilissimo, e poi ce lo fa vedere.
Agli arditi, e agli ardenti di coraggio e di passione.
Ai belli dentro, fuori e tutto intorno.
Alle donne che hanno il cuore tondo come la pancia delle mamme. Agli uomini che sono padri con le spalle larghe. Poiché è sopra quelle spalle che noi figli guardiamo l'orizzonte per la prima volta. E non ce lo scordiamo più.

A chi crede sempre. Qualche volta si scoraggia. E poi riparte.

Antonia Storace

domenica 5 luglio 2015

Notte di pigiami senza maniche, e capelli raccolti. Notte di romanzi e di lenzuola fresche. Bello l'odore di bucato.
Notte di proverbi: "Chi la dura, la vince"; "La speranza è l'ultima a morire"; "Chiusa una porta, si apre un portone" - a me basterebbe pure una finestrella che affacci sul mare. E qualcuno che mi cinga le spalle con dolcezza.
Notte di canzoni, di mappe e di valigie. Voglio le atmosfere fumose degli anni '30; i bicchieri di whisky, i sigari e i pittori surrealisti; il charleston, le prime calze di nylon e lo Chanel n.5.
Notte di dolcissima trepidazione, attese, memorie e facce pulite di serenità. Notte di stelle da perderci il conto. E di costellazioni da disegnare con la punta delle dita. Voglio un messaggio mentre dormo che dica, più o meno, così: "Ciao, non sapevo come entrare nei tuoi giorni ed allora ho pensato di scriverti mentre, probabilmente, stai sognando. Perciò, se non riuscissi ad abitarti la vita, proverò almeno ad abitarti i sogni".

Antonia Storace

martedì 30 giugno 2015

Di corpi callosi e cuori a più mani

Qualche anno fa, tra le pagine di un libro sfogliato a casaccio, in biblioteca, ho letto che il corpo calloso - il "ponte" che unisce i due emisferi cerebrali - sarebbe più sviluppato nelle donne che negli uomini.
Questo particolare tratto fisiologico ci renderebbe capaci di fare molte cose contemporaneamente.
Qualora fosse vero, mi piace pensare, tuttavia, che il corpo calloso delle donne sia nel cuore, invece che nella testa, e serva a mettere in comunicazione il ventricolo destro con il ventricolo sinistro.
Perché dove un uomo ragiona per compartimenti stagni - scegliendo la carriera, o l'amore, o semplicemente sé stesso, a seconda delle circostanze - il cuore di una donna ha mille mani. Per tenere più salda la presa. Per accarezzare più volte. Per costruire più ponti che muri. Per amare e lottare più forte di tutti.
Per questo, quando una donna decide di aprire le mani e lasciar andare, va via tanto, va via troppo. Non resta nulla.



Antonia Storace

mercoledì 24 giugno 2015

La pesca dell'oca

Ci sono storie dopo le quali dobbiamo decidere se diventare fantasmi, ed alimentare la fitta schiera di impalpabili spettri che popola il passato di molti, o tornare ad essere persone, con tutto il carico di forza, risolutezza e coraggio che una scelta come questa implica.
I tradimenti sono pugnalate nel costato. Mosaici di dolore, sfiducia e disamore che non smetti mai di ricostruire interamente. Viene fuori sempre un nuovo tassello, l'ennesimo macabro particolare della capacità, che alcuni hanno, di mentire, innalzando altari laici sui quali sacrificano gli scheletri della fiducia e del buon cuore. Quando ascolto le storie delle mie amiche, e provo a contenerne il dolore con le mani, lo vedo scivolarmi via. E' dolore liquido. Impossibile da trattenere. Riempie le crepe, si insinua nei solchi, diventa sete di vendetta, voglia di rivalsa e di giustizia: perché a certi stronzi bisogna rovinare la piazza, così che non possano più mietere vittime e ignare conquiste destinate al patibolo delle corna.
Ieri sera, parlando con una di loro, mi sono venute in mente le feste di paese e le bancarelle con le attrazioni ambulanti. Ce n'è una, in particolare, che non mi esce dalla testa: la pesca dell'oca.
Ecco, a volte penso che certi uomini - e dico certi, non tutti. E ribadisco categoricamente: certi, non tutti - siano le pennute oche di plastica col culo scoperto, che girano eternamente in tondo, nel loro laghetto artificiale. E noi donne - e dico certe, non tutte. E ribadisco categoricamente: certe, non tutte - siamo il braccio meccanico che le pesca.
Dopo aver acchiappato l'oca di plastica, la guardiamo, registriamo il suo punteggio numerico e, se il premio che vi corrisponde non ci piace, la rimettiamo allegramente nella giostrina d'acqua, insieme alle altre oche di plastica con il culo per aria. Perché è questo che dovrebbe accadere dopo un tradimento. Se hai pescato un amore tarocco, e te ne sei accorta, non ci stanno santi: lo devi rimettere nel mazzo degli amori tarocchi. E andare oltre.
C'è chi, nella vita, è destinato ad essere oca, e chi ad essere braccio. I primi nuoteranno sempre nel perimetro infelice e sicuro delle loro bacinelle. I secondi, faranno forti i muscoli della ripartenza, e preferiranno il mare aperto.


Antonia Storace

giovedì 18 giugno 2015

Scarpe grandi e materne malinconie

"La sindrome delle scarpe spaiate". Oppure: "Come sembrare un clown in poche, semplici mosse". Ed ancora: "Quando un atto di maleducazione può salvarti da un'imperitura figuraccia".

Si, perché se questa mattina non avessi poggiato i piedi sul cruscotto dell'auto, mentre Valerio guidava, non me ne sarei mai accorta.
Qualche settimana fa, ho visto, nella vetrina di un negozio, un paio di scarpe di tela. Di quelle basse, con i lacci, e minuscoli fiorellini di campo stampati qua e là. Deliziose. Ho misurato il 37 destro e, poiché andava bene, le ho comprate. E le ho pure indossate. Le ho indossate spesso, in questi giorni. Erano comode, leggere, semplici da abbinare, specie per una come me, che si tuffa alla cieca nell'armadio. Poi, questa mattina, nel traffico cittadino di una Roma agghindata a vento di scirocco, la tragica scoperta. I piedi, appaiati sul cruscotto della Fiat Punto, apparivano visibilmente diversi: la scarpa sinistra misurava 40, invece di 37. Ed io ci sono andata in giro, conciata in questa maniera barbina, senza accorgermi assolutamente di nulla.

E' stato in quel momento che mi è venuta in mente mia madre. Ed una fitta di dolorosa nostalgia mi ha spezzato il fiato.
Da quando abito a Roma, non ho più modo di ascoltarne, quotidianamente, le raccomandazioni. E, sebbene mai l'avrei creduto possibile, mi mancano. Come solo le cose importanti sanno fare.
Perché puoi vivere in tutte le città più fighe del mondo, provare a renderti autonoma, indipendente, culturalmente emancipata, mentre costruisci due o tre sogni. Ma quel: "Hai controllato che siano entrambe dello stesso numero?" non si batte.
Questo fanno, le mamme. Si assicurano che i tuoi passi siano saldi. Poi aprono le mani, lasciano che tu scopra la tua strada, e pregano affinché le buche della vita non scollino le suole. Questo sono, le mamme. Calzolai dell'anima. E del futuro.

Antonia Storace

lunedì 15 giugno 2015

Puzzle e cornici

Se ami profondamente qualcuno, fai tue alcune delle sue abitudini. Succede spontaneamente, senza preavviso, senza assunzione di consapevolezza.

Quando ero bambina, adoravo i puzzle. Rappresentavano un arguto esercizio di pazienza che non ho mai imparato del tutto.
Da qualche tempo, anche Valerio ha cominciato ad interessarsene. Tuttavia, mentre io adotto la famosa tecnica "a casaccio" - partendo da un punto imprecisato del centro, con i primi due pezzi che si incastrano a culo - lui è assai più metodico, ed inizia sempre dai bordi: cerca tutti i tasselli con il lato chiuso, così da comporre progressivamente la cornice, prima del suo contenuto. E' un sistema certamente più sensato, logico ed immediato rispetto al mio.
Seduti intorno al tavolo della sala da pranzo, con la proiezione astratta di un disegno scomposto sopra il legno scuro, le nostre umane differenze emergono, silenziose ed implacabili: il mio vivere di pancia, la mia totale assenza di diplomazia, e la sua riservatezza così british, quell'amabile educazione con cui tocca la vita e le sue storie. Il giorno e la notte, per dirla come farebbero tutti. Dalla cui unione nascono albe e tramonti che tracciano futuristiche linee d'orizzonte. E questo non tutti lo dicono perché non tutti lo sanno.

E' stato Valerio, non io, a costruire il perimetro della dorata cornice dentro la quale la nostra storia è sbocciata. Ha protetto il seme di ciò che stava nascendo prima ancora che diventasse fiore: ha sempre avuto più intuito di me.
Perciò, se un giorno, tra noi, dovesse finire, io comincerei a fare i puzzle cercando tutti i pezzi col bordo chiuso.

Antonia Storace

lunedì 8 giugno 2015

Una bicicletta rosa e tutto passa

Siamo state tutte la bambina paffuta sulla bicicletta rosa.
Avevamo le rotelle in aggiunta, ai lati; le scarpette di vernice rossa; una mano adulta a bilanciare la falcata.
Avevamo il sorriso facile; le buche nell'asfalto; il bacino sulla bua e tutto passa. Questo avevamo, prima di avere ogni altra cosa. Il "tutto passa". E passava davvero. Senza lasciare traccia.
Dopo le cadute, potevamo restare a terra e piangere liberamente, fuori giudizio e fuori tempo. Sarebbero poi arrivate due braccia di madre, o di padre, a tirarci su, a dirci: "Tutto passa".

Oggi, invece, abbiamo le gomme del cuore un po' sgonfie, un tacco dodici che stiletta arcigno sopra il pedale, e due freni tarocchi.
La falcata si è fatta più decisa, ma non c'è mano che possa orientarne il tratto, all'infuori della nostra. Siamo cresciute e il "tutto passa" è diventato "a dispetto di tutto". Come se a quel tutto che ha smesso di passare senza lasciar traccia, volessimo fare dispetto. Perché a terra, dopo le cadute, non ci possiamo più rimanere. Il mondo ci vuole in piedi, dritte e tese come fusi. In tempi brevi e con gli occhi asciutti. E noi, che siamo bravi soldatini laboriosi, non disattendiamo mai gli ordini. Però, ogni tanto, quella bambina paffuta sulla bicicletta rosa ci manca un sacco.
Antonia Storace

mercoledì 3 giugno 2015

Punto tutto sul 29

Ventinove anni sono un numero strano da portarsi addosso. Potresti ancora tornare indietro, ma non lo fai. Dovresti andare avanti, e ti accorgi di non aver paura.
Ventinove anni sono un numero strano da portarsi appresso. Come una sacca che comincia a farsi pesante di vita presa a due mani.
Credo che nulla mi abbia fatta grande, all'anagrafe e nel cuore, quanto avere Valerio accanto, e quell'intelligenza sottilissima, data in dotazione a pochi soltanto, di restarmi dietro di un passo, quando è necessario. Poiché quel passo, quell'unico passo, invece che essere svilente, lo eleva al di sopra di un manipolo di uomini corrotti ed insicuri, e gli permette di guardarmi le spalle, di proteggermi da me stessa, e dalle mie umane debolezze, come solo l'amore quando è amore sa fare.

A ciascuna di noi è toccato, presto o tardi, un tizio complessato, emotivamente indisponibile, bugiardo e bipolare, che ha provato a rimpicciolirci, a ridimensionarci lo spirito e i sogni, poiché lui stesso non sapeva concepirne di grandi. E noi gli abbiamo creduto. Ci siamo dette che era meglio vivere una vita a basso profilo, senza grossi rischi, senza troppi scossoni. Una vita rosa pallido, un mare piallato di ambizioni strozzate ed emozioni col settanta per cento di sconto. Un futuro in saldo, quando, dopo la ressa iniziale, restano solo gli ultimi capi sgualciti di cui accontentarsi. Ma quelli che ci vogliono piccole, sono gli stessi che si sentono piccoli, e perciò provano ad addomesticarci. Per le donne sopra la media, ci vogliono uomini sopra la media. Non ci stanno santi. Non esistono eccezioni.

mercoledì 27 maggio 2015

A cena con Valerio

Oggi inauguriamo una nuova rubrica: "A cena con Valerio".

Chi mi conosce lo sa: adoro mangiare. E' l'unico modo per farmi stare buona e zitta. Soutè di cozze, vino rosso e formaggi speziati riescono a farmi smettere di polemizzare, avere un'opinione su tutto e volerla esprimere ad ogni costo.
Valerio lo ha intuito da tempo, e ne approfitta spesso. Con buona pace di entrambi.
Ieri sera, siamo stati a cena da Mythos, in Piazza Scipione Ammirato 7 - Roma. Come per ogni cosa bella, l'abbiamo trovata per puro caso: materiali di recupero, poltrone d'altri tempi, oggetti di design si sposano all'accoglienza, calda e mai invadente, del personale. Un'autentica scoperta. Una felicissima rarità.

Quello stesso pomeriggio, siamo stati alla presentazione del libro "La manutenzione dell'amore" di Umberta Telfener, con Chiara Gamberale in veste di moderatrice.
Perciò, a cena, io e Vale ne abbiamo parlato a lungo e credo di essere giunta a due conclusioni importanti.
Innanzitutto, se è vero che l'amore nasce spontaneamente, non altrettanto spontanea è la sua "manutenzione". Perché un amore cresca forte ed entusiasta, resistendo alle brutture del tempo e della vita, è necessario che riceva cure quotidiane. Curare è la declinazione concreta del verbo amare.
L'amore non è una pianta grassa, capace di provvedere alla propria sopravvivenza senza alcun intervento umano. Al contrario, è più simile ad una rigogliosa parete di gelsomini. Come tale, però, ha bisogno di essere potata delle sue aridità, ricevendo luce ed ombra in egual misura.
Quando scegliamo di condividere i nostri giorni con una persona, stipuliamo un mutuo patto di impegno: ci impegniamo a dare, all'altro, il meglio di ciò che siamo e di quanto possiamo diventare. Tutto il nostro entusiasmo, la nostra forza, la gioia di vivere, le umane debolezze affrontate con piglio risoluto e combattivo. E' una responsabilità da adulti, faticosa a tratti e senza scorciatoie. D'altronde, non esiste umana bellezza che non sia stata partorita anche dalla fatica.
E qui cascano l'asino e gli asinelli, poiché non tutti sono in grado di far fronte a questo compito. E' quello il momento in cui commettiamo l'errore di dare l'amore per scontato, di pensare che l'altra persona ci resterà accanto per sempre. E, dopo, a nulla serve disperarsi mentre lo vediamo veleggiare allegramente verso mari più felici.
Ognuno di noi si porta, alle spalle, una storia malata, una latrina che puzzava quanto un cadavere in decomposizione, nella quale, tuttavia, aveva imparato a stare, abituandosi al tanfo. Sebbene fosse merda vera, sapeva come gestirla. Ci stava comodo dentro, poiché, nella sua totale assenza di reali prospettive future, non implicava alcun trauma da cambiamento, nessuno scatto di crescita in avanti. Al male ci si abitua. Ed è pericoloso.
Contrariamente, un amore sano e costruttivo ci pone nella condizione potente di dare all'altro il meglio di ciò che siamo. Per farlo, però, dobbiamo essere disposti a fare luce sulle ombre, alzare l'asticella del limite, uscire dalla zona di comfort, fare cose che non abbiamo mai fatto per ottenere risultati che non abbiamo mai visto.
Quanti sono disposti sul serio?

Vi linko il sito del ristorante in cui siamo stati e vi consiglio vivamente di farci un salto, ne resterete felicemente incantati: http://www.mithostaverna.it/ristorante.it/index2.html

Io e Vale abbiamo mangiato: formaggio caprino con mousse di melanzane e lamponi; wok di verdure con salsa di soia; gnocchetti al pesto di cinque erbe, orata, mandorle ed arancia; involtini di pollo ripieni di mozzarella e speck, su crema di carote con patate al forno. Alla sorprendente cifra di 35 euro, in due. Con acqua e pane aromatizzato a volontà. Ed era tutto, assolutamente tutto, delizioso oltre ogni dire.


Ndr: chiedo scusa per le foto bruttissime, io il cibo lo mangio, non lo fotografo.

martedì 26 maggio 2015

"Donne al quadrato" all'ombra di papà Vesuvio

"Napoli è un lascito che, pure a camminare veloci, ti segue passo passo. Un gioiello e una zavorra. Dove altro pensi di andare?"

La mia bella città di "Donne al quadrato" ne ha partorite tante. Donne che non hanno paura di ricominciare mille volte, ed una in più ancora, se mille è comunque troppo poco. Donne col cuore di burro e la tempra d'acciaio. Donne resilienti, resistenti, indomite e libere. Donne che, qualche volta, corrono da sole e non si lasciano afferrare. Donne che, quando amano, amano più forte di tutti.
A quelle Donne voglio stringere la mano.

Sabato 30 Maggio, sarò con il mio libro e la mia penna presso la Feltrinelli di Piazza dei Martiri, nell'anima pulsante e mai stanca di Napoli, dalle 11 alle 14 e dalle 17 alle 20. Spero davvero di avervi lì, con me.



Un sorriso,
Antonia Storace

giovedì 21 maggio 2015

"Bisogna assomigliare alle parole che si dicono", Stefano Benni

Se, in passato, qualcuno mi avesse detto che un giorno io e Stefano Benni ci saremmo scambiati i rispettivi libri, non ci avrei creduto.
Ma la vita, in questo periodo, si diverte un sacco a smentirmi, dimostrandomi quanto sa essere bizzarra e potente. Se è vero che raccogliamo ciò che seminiamo, in mezzo a tante difficoltà, momenti come questo li raccolgo perché me lo merito, perché ci ho messo cuore, faccia, e capacità si fare ben oltre il mio dovere.
Per oggi posso anche fare passo. Lasciare ai cattivi la cattiveria; ai furbi che si sentono furbi la stupidità che li macchia, così evidente agli altri, così poco a loro stessi; gli scivoloni a culo a terra a quanti credono che l'arrampicata sugli specchi sia uno sport; ai poveracci dell'anima, vestiti di marca e di etichetta, tutta la loro umana pochezza. I veri Grandi sono generosi. Tutti gli altri sono pallidissime imitazioni, che provano ad ingannare il prossimo con la loro tarocca teatralità, ed invece svelano se stessi.

mercoledì 13 maggio 2015

La miglior vendetta è la Felicità

Ieri pomeriggio, uscita dalla metro, percorro la strada che porta a Piazza Re di Roma e sento una donna urlare, seduta su uno scooter, ai lati del marciapiede.
"Perché sei uno stronzo. Per questo non sono in cima ai tuoi pensieri. Perché sei uno stronzo". Non so cosa le avesse detto esattamente il presunto stronzo, però, giuro, avrei voluto mettermi al suo fianco ed urlare al telefono con lei. Forse non ce n'era ragione. Forse lui è una bravissima persona e lei una tritapalle di professione, come solo certe donne sanno essere.
Eppure è bastata quella frase, e la veemenza ferita con la quale l'ha sputata fuori dai denti, a riportarmi indietro con la mente di due anni.

Sembrava un sabato mattina qualunque. Pasqua era passata da poco. Ero andata in palestra ed avevo incontrato un ragazzo che io, ed il mio fidanzato di allora, conoscevamo piuttosto poco e solo perché ci allenavamo in sala alla stessa ora, negli stessi giorni. Non sapeva neanche che stessimo insieme. E alla sua ignoranza, oggi, devo dire grazie.
Ci scambiammo qualche frase di circostanza e lui mi raccontò che, la sera prima, era stato a cena a casa di un amico, insieme con la sua fidanzata. Poi, spontaneamente ed ignaro di tutto, aggiunse la frase che avrebbe cambiato la mia vita per sempre: "C'era anche X. con la sua ragazza".
La sua ragazza. Così disse. La sua ragazza. E poiché io a quella cena non c'ero andata, mi parve tristemente evidente che stesse facendo riferimento ad una fanciulla che non ero io.

Le immagini successive a quel momento sono lontane, sfocate, irreali a tratti. Ma una cosa la ricordo bene: quasi correvo per strada, urlando come una pazza.
"Stronzo, pezzo di merda, figlio di puttana, ficcati sto maledetto telefono nel culo e non azzardarti a chiamarmi mai più. Hai capito? Mai più!!".
La gente mi guardava come fossi scema. E dovevo esserlo davvero, a quel tempo. Per quale altro motivo, altrimenti, una come me, dotata di un cervello pensante, poteva stare con un ragazzo di 28 anni che spendeva, ogni mese, mediamente, 400 euro per le punture di botulino agli angoli degli occhi? Il tempo che avrebbe potuto passare a scoparmi, lo impiegava andando puntualmente al centro estetico per la manicure e la cera.
Lui era un cerebroleso, certo. Ma manco io scherzavo a stare con una tale sottospecie di maschio. E a soffrirci, per giunta. Perché io per 'sto coglione ci soffrivo. Capiamoci bene. Ho trascorso notti insonni. Ho pianto tutte le lacrime del purgatorio. Ho domandato a me stessa, fino allo sfinimento, cosa diavolo avessi di sbagliato. E nulla, assolutamente nulla, è stato liberatorio come mandarlo a fare in culo ad alta voce, così che il messaggio arrivasse chiaro e tondo prima a me, e poi a lui.
Quando sono tornata a casa, ho tagliato la scheda del cellulare e l'ho buttata nel cesso, dove avrebbe meritato di essere ficcata pure la sua faccia da stronzo. La stessa che botulino e costosissime creme antirughe non erano riuscite a rendere meno simile ad un coglione.
Oggi lui sta ancora con la ragazza con la quale mi tradiva. Quella "semplice da gestire". Così la chiamava. Non ce l'aveva un nome, 'sta poveretta. Lei era la "Signorina semplice da gestire". Ora, Mister Botulino e Signorina Semplice da Gestire sono finiti nel mio libro, e forse neanche lo sanno. Non credo abbiano mai letto un libro in tutta la loro vita, a dire il vero. Ed è fighissimo, se ci pensate: ho preso tutto il male che mi aveva fatto, e l'ho portato sugli scaffali delle librerie.
Chi è che diceva che la felicità è la miglior vendetta?

giovedì 7 maggio 2015

Pomeriggio con l'autore

Venerdì 8 e Sabato 9 Maggio, dalle 17 alle 19.30, sarò alla Feltrinelli, in Via Appia Nuova 427 - Roma - per il "pomeriggio con l'autore". Che, nello specifico, sarei io :D
Allo stesso modo, Domenica mattina, dalle 10 alle 13. Sarò felice di conoscere personalmente i lettori, chi, nelle mie parole, ritrova un po' della sua storia.
Ho in serbo, per voi, un piccolo regalo.

Un sorriso,
Antonia

lunedì 4 maggio 2015

Intervista in radio

Oggi pomeriggio, dalle 18 alle 19, sarò ospite della rubrica radiofonica "Un viaggio tra le parole", condotta da Simona Tuliozzi, in onda su Web Radio Colosseum.
Parleremo di "Donne al quadrato" e di quanti hanno il coraggio di elevare a potenza la propria vita.
Da giovane, il mio papà faceva lo speaker radiofonico per piccole emittenti regionali. Una passione da ragazzo rimasta lì, mai andata oltre, custodita nel segreto delle corde di quella chitarra che, ancora oggi, di tanto in tanto, si diverte a pizzicare. Da bambina, qualche volta, lo accompagnavo. Ricordo con chiarezza la musica, i dischi in vinile, le cuffie troppo grandi per la mia testolina da bimba di sei anni.
All'epoca, il mio babbo non poteva immaginare che un giorno, dall'altra parte del microfono, ci sarei stata io.
Oggi, spero sia solo una delle piccole e grandi soddisfazioni che mi impegno a dargli.

In diretta streaming su http://www.radiocolosseum.it/

venerdì 1 maggio 2015

News

Con Vania Della Bidia, Lillo&Greg e... "Donne al quadrato".

Per chi si trova a Roma, e volesse il libro, consiglio La Feltrinelli in Via Appia Nuova 427. Presto sarò lì per autografare le copie. Avrò cura di comunicarvi con esattezza data ed ora, appena possibile.


mercoledì 29 aprile 2015

Resilienza

Questa sera ho imparato una parola nuova, una parola che, etimologicamente, non conoscevo, pur applicandola da sempre istintivamente, poiché la mia natura me lo impone.
Resilienza. Il termine deriva dalla scienza dei materiali ed indica l'attitudine, che alcuni di essi hanno, di preservare la propria struttura originaria dopo essere stati sottoposti ad un urto o ad trauma da compressione.
La resilienza è la capacità di resistere alle brutture della vita, alle sue fisiologiche avversità, e di tradurle in nuove spinte emotive, nuovi punti di forza e di svolta. Resilienti sono coloro che, nell'ostacolo, scovano l'opportunità, perché sanno che nulla accade a caso ed anche il peggiore degli inciampi può rivelarsi un vantaggio. Non esiste successo senza fallimento. Non esiste autentica bellezza che non sia stata partorita dalla fatica. Non esistono limiti superati senza la volontà di chi dice a se stesso: "Ancora un altro sforzo, ancora un altro giorno, ancora un po' di fiato". Chi ha un sogno lo difende; scova, in sé stesso, un coraggio che nemmeno sapeva di avere, attinge alle risorse migliori che gli abitano dentro, e a quelle si aggrappa quando il sole illumina a giorno o quando imperversano le correnti. Chi molla non merita. Chi desiste non è all'altezza. Chi si arrende non è nato per vincere, non è degno di sognare.
E' una bella parola, resilienza. La mia preferita in questo periodo.


Antonia Storace

martedì 21 aprile 2015

Presentazione di "Donne al quadrato"

E' stata un'emozione indescrivibile. Tra le soddisfazioni più grandi conquistate fino ad oggi.
Un grazie speciale all'attore, doppiatore, regista ed autore teatrale Pino Ammendola, per aver prestato la sua voce alla poesia "Donne al quadrato" - che da il titolo all'intera raccolta - e ad altri testi contenuti nell'opera. Un uomo di grande spessore e levatura morale, un professionista ineccepibile, un animo profondamente saggio, umano e generoso.
Grazie sentitamente a tutto lo staff della Viola Editrice, per l'innata eleganza ed il lavoro impagabile.
Grazie alle persone che erano lì e che si sono commosse con me. Ho temuto che il cuore non reggesse a tanta bellezza. Grazie infinite a chi mi segue qui, sul blog, da molti anni ormai, e non ha mai smesso di credere nel mio talento e nella mia caparbietà.

Un abbraccio immenso ed un sorriso pieno di luce.
Antonia Storace


Il libro è già disponibile presso Feltrinelli, Mondadori, Ibs ed Amazon.



mercoledì 15 aprile 2015

Questa è una storia di numeri.
Quattro sono i giorni che mancano al lancio del libro. Tre le notti che non dormo. Infinite le volte che avrei voluto cambiare virgole, accenti e parole affinché tutto fosse perfetto. Ma qui, di perfetto, c'è solo la forza di chi ci crede ancora e un po' ci ride su.
Sette undici duemiladodici è la felice combinazione di numeri in occasione della quale ho scritto "Donne al quadrato", senza la cui diffusione, oggi, non so se avrei mai trovato il coraggio di pubblicare una parte dei restanti testi che, da domenica, saranno presenti in questa raccolta. Ancora sette, non a caso, la sua pagina sul libro.
Due quattro duemilatredici è la meno felice combinazione di numeri in occasione della quale, invece, ho scoperto che l'uomo a cui, in quel tempo, tenevo, aveva un'altra.
Ma poiché il veleno può trasformarsi in medicina, due quattro duemilaquindici - esattamente due anni dopo, con la beffarda precisione chirurgica che solo il tempo galantuomo può avere - è esattamente il giorno in cui la mia casa editrice mi ha inviato l'anteprima della copertina del libro e comunicato la data del suo lancio. La vita ha un senso dell'umorismo davvero pazzesco. Sa sempre cosa è meglio per noi. Specie quando noi per primi lo ignoriamo.
Undici quattro duemilaquattordici è il giorno in cui ho seguito il mio primo corso di editing, a Roma, col grandissimo Christian Raimo. Lo stesso in cui ho conosciuto Valerio. Da allora, le cose si sono fatte più chiare. Come se il cuore avesse squarciato il suo velo perenne ed avesse, finalmente, iniziato a battere di un battito naturale, perfetto, giustissimo.
Quattordici dieci duemilaquattordici la data in cui ho ascoltato Fabio Volo leggere le mie parole su Radio Deejay. Immaginate cosa si prova a trovare il messaggio di un amico che dice: "Accendi immediatamente la radio" e sentire un proprio testo andare in onda su una emittente nazionale, senza avere nessuna, ma proprio nessuna, raccomandazione. Nessun aiuto. Nessuna spinta. Se non quella di una poesia che aveva preso a diffondersi in rete poiché, semplicemente, piaceva alla gente. Perché io Volo non lo conosco, non l'ho mai incontrato, non ci ho mai neppure parlato. Ciò non di meno, anche se lui non lo sa, quel giorno, insieme a tutta la redazione di Radio Deejay e Radio Capital, mi ha fatto un regalo immenso: mi ha regalato la forza di provarci fino in fondo, così che il sogno assumesse i contorni fisici e palpabili di una bellissima realtà.
Due sono le dediche del libro. Centodiciotto le sue pagine. Molti, ma non troppi, i ringraziamenti. Una la sceneggiatura che, ad ottobre, andrà in teatro. Uno il romanzo a cui sto già lavorando. Quaranta le pagine scritte fino ad ora. Impossibile da quantificare l'emozione per le parole che Pino Ammendola ha speso per me.
Pochi i sogni che voglio realizzare. Perché è sempre la qualità. Mai la quantità.
Migliaia, letteralmente migliaia, le condivisioni che ha avuto "Donne al quadrato". Centinaia, letteralmente centinaia, le persone che mi hanno scritto dopo averla letta o ascoltata in radio. A ciascuno di loro, va la mia totale gratitudine.
Uno, ed uno soltanto, l'esempio che spero di aver dato ai ragazzi come me: non è mai il punto di partenza che conta. Solo quello di arrivo. E la capacità di rilanciare i dadi una volta ancora, una di più, affinché non vinca il banco, che è il mondo e che, certe volte, ci vuole disillusi ed arrendevoli ad ogni costo. Non è facile per nessuno. Non è facile per chi parte. Non è facile per chi resta. Non è facile per chi deve ripartire. Non è facile, ma non è impossibile. E spero possiate ricordarlo sempre. Dove non arriva la testa, arriva il cuore e la sua caparbietà.
Questa è una storia di numeri. Quelli sui quali ho scelto di puntare.

Antonia Storace

lunedì 13 aprile 2015

Donne al quadrato, di Antonia Storace


Domenica 19 Aprile, presentazione del libro "Donne al quadrato" di Antonia Storace, presso "Le Artigiane", in via di Torre Argentina 72, Roma.
Alle 18.00.

giovedì 26 marzo 2015

Girando in Internet, o sui social network, ancora mi accorgo che taluni citano la mia poesia "Donne al quadrato" come un testo di Alda Merini.
Spero di chiarire questa cosa definitivamente: "Donne al quadrato" l'ho pubblicata, per la prima volta, sul mio blog - Nel giardino dei ciliegi - il 7 Novembre del 2012. Data ed ora di pubblicazione certificano la mia maternità come autrice: basterebbe controllare le date delle pubblicazioni, su siti e forum, ad opera di terzi, e risulterebbe lampante che sono tutte SUCCESSIVE al 7 Novembre 2012.
Come se non bastasse, Fabio Volo ha letto il testo su Radio Deejay citandomi chiaramente come autrice. Allo stesso modo Radio Capital e la pagina ParoleNote, sempre facente capo a Radio Capital. Esistono dei podcast in rete, sui siti delle emittenti radiofoniche nazionali, a dimostrare quanto dico. Senza contare che sta per uscire un mio libro, nel quale la poesia è pubblicata, edito da Viola Editrice. Ma, se neanche questo dovesse bastare, è sufficiente andare sul SITO UFFICIALE DI ALDA MERINI, gestito e curato dalle figlie, per scoprire che "Donne al quadrato" non c'è. E badate bene che parlo del sito UFFICIALE, creato dalle eredi della Merini, non di quelli realizzati da fan e lettori, alcuni dei quali non mi citano come autrice ma, come sopra, le loro pubblicazioni della mia poesia sono SUCCESSIVE al 7 Novembre 2012. Sfido chiunque a trovare un documento contenente "Donne al quadrato" con data precedente a quella.
E' onore immenso, davvero immenso, che il mio nome venga, sia pure per errore, accostato al Suo, ma è bello anche che il mio lavoro venga riconosciuto. L'talia è ricca di talenti inespressi. Internet è pieno di false attribuzioni. E' una vita che "Lentamente muore" viene attribuita a Pablo Neruda ed invece è di Martha Medeiros che, a suo tempo, si rivolse anche alla fondazione Neruda per difendere la sua bellissima poesia. Inoltre, a chiunque legga con attenzione, salta all'occhio la differenza (ahimé) tra il mio stile di scrittura - quello di una ventottenne - e lo stile di Alda Merini, eccellenza inarrivabile della letteratura, una donna immensa, con una vita piena e difficile alle spalle, esempio per tutti quelli che non si lasciano piegare dalle brutture del destino.
Vi invito caldamente a visitare questo sito: https://ilmiovivereinpoesia.wordpress.com/2014/08/08/donne-al-quadrato/
Tra i commenti leggerete quello di Barbara Carniti, FIGLIA DI ALDA MERINI, che, in riferimento alla mia poesia "Donne al quadrato", dice chiaramente: "Questo scritto non è di Alda Merini".

E, adesso, mi raccomando: al mio prossimo testo, dite che è di Omero, della Fallaci, o di Edgard Allan Poe!!


http://www.deejay.it/audio/donne-al-quadrato/403330/
http://www.capital.it/…/program…/Parole-note/3716438/3759957
http://ilrumoredeisilenzi.blogspot.it/…/donne-al-quadrato.h…

martedì 3 febbraio 2015

Fede, paura e coraggio

Due settimane fa, ricevo la convocazione ad un colloquio come responsabile di una libreria. Vengono selezionati ottanta curricula su mille, esattamente mille, inoltrati a seguito della lettura dell’annuncio. Il mio è tra quelli scelti. Ci dividono in gruppi di quaranta persone. Io sono nel secondo gruppo e mi presento, come indicato nella mail, alle 15 di sabato pomeriggio. La selezione - oltre alla prima scrematura realizzata in funzione del c.v. - si articola in due fasi: colloquio orale e simulazione pratica, da sostenersi in coppia. Cinque ore di valutazione, ad opera delle risorse umane, che manco Obama alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Alla fine, sarebbero state assunte tre persone soltanto che, in sincrono, avrebbero dovuto curare la libreria. Quel giorno, a parte me, c’erano professionisti di ogni ordine e grado: insegnanti di latino, pianisti, life coach, programmatori economici aziendali.

Il candidato ideale è appassionato di arte e letteratura, intraprendente, proattivo, entusiasta, con un’ottima padronanza della lingua italiana ed una discreta dimistichezza con gli strumenti grafici ed informatici. Ho paura. Sono la più piccola in un gruppo di adulti preparatissimi ed altamente qualificati. Quando mi sono trasferita a Roma mi è parso chiaro, fin da subito, che, se in altre città d’Italia la competizione è di uno a cento, nella Capitale la soglia si alza in maniera esponenziale. La concorrenza è spietata. La voglia di vincere pure.

Sostengo il colloquio orale e tiro fuori la parte più bella di me, la più autentica. Quando mi chiedono per quale motivo dovrebbero scegliermi, la bocca si muove prima ancora che la mente abbia formulato il pensiero: “Perché l’amore per i libri non si inventa”, rispondo. Non ci si improvvisa lettori. Il mio interlocutore sorride e, con una leggera pacca sulla spalla, mi chiede di restare per la simulazione pratica. Alcuni dei presenti vanno giù come birilli dopo la prima fase. Altri sopravvivono e rimangono in gioco.
Aspetto fino alle otto di sera e, nel mentre, lego con una ragazza cagliaritana di 38 anni, una formatrice aziendale trasferitasi a Roma per amore e disposta, per amore, a reinventarsi. E’ una donna speciale, lo si percepisce chiaramente. Piena di splendida fede nella vita e nella parte buona del mondo. Decidiamo di sostenere insieme la simulazione. Le sole due donne, in un gruppo di ottanta persone, che fanno squadra invece di farsi la guerra, sovvertendo le regole statiche del colloquio e dividendosi equamente meriti e responsabilità. Cinque giorni dopo ci richiamano entrambe. Il lavoro è nostro. Peccato che si tratti di un lavoro completamente diverso rispetto a quello per il quale ci siamo candidate: vogliono me come Presidente dell’Associazione Culturale e Sara come Responsabile Marketing. E ci potremmo pure stare, se non fosse per il contratto a progetto che è soltanto un’ombra lontana ed impalpabile ed uno stipendio sul quale non si pronunciano poiché non sanno esattamente quanto e come fare a pagarci.

In questa Italia sfiancata e difficile, troppo spesso è necessario godere della compiacenza di una ruffianissima lettera di raccomandazione per trovare lavoro. Le multinazionali fingono colloqui aziendali, riciclando gli interni. E mente sapendo di mentire chi sostiene il contrario. Eppure esiste anche un’altra Italia. Un’Italia ostinata e bellissima, fatta di gente preparata. Persone forti, volitive, mordaci, coraggiose. Persone che brillano e si elevano al di sopra di un manipolo di mediocri e di corrotti. A queste persone va il mio augurio di speranza, ardimento e quotidiano eroismo.

Non pronuncerò parole di rabbia o di scoramento. Poiché ho deciso, da tempo, di schierarmi sul versante buono della vita e, in questa precisa circostanza, ho guadagnato un’amica come Sara. “Davanti all’impedimento, lo stolto indietreggia e il saggio gioisce perché sa che nella difficoltà si cela l’opportunità”. E se è vero come è vero che la vita è il risultato delle azioni che poniamo in essere e delle credenze profonde a cui ci ispiriamo, allora è nostro il potere, e nostra la responsabilità, di cambiare questo stato di cose fallato e fallace, che ci vuole perdenti ad ogni costo o venduti senza speranza. Ogni volta che una storia come quella che ho raccontato passa sottobanco, nel silenzio consenziente dell’arrendevolezza, un pezzo del nostro futuro muore. Strozzato dalla corda dell’ignavia. Per questo vi chiedo: non cedete al ricatto delle mezze misure e sappiate fare la differenza in quella parte di mondo che vi è toccata. Siate, come diceva Gandhi, il cambiamento che desiderate vedere negli altri.

giovedì 29 gennaio 2015

Se puoi sognarlo, puoi farlo

All'anulare sinistro porto due anelli di fidanzamento: un gioiello moderno, figlio dei nostri tempi, regalatomi dal mio compagno, ed uno vecchio di settant'anni, cedutomi da sua nonna. Come un pegno d'amore che passa di generazione in generazione e che ora tocca a me onorare in tutto il suo intramontabile valore. Stamattina, con l'altra mano, quella destra, ho scritto la cosa più importante della mia vita: il mio nome in calce ad un contratto editoriale. Adesso posso dirlo ufficialmente: in primavera uscirà il mio libro. E non esiste modo più bello per iniziare l'anno se non con questo doppio carpiato della vita che mi ha portato in dono due regali straordinari. Sono stati mesi bellissimi e difficili. Ho sventrato la mia vita per costruirne una nuova, più simile a quella che sognavo da bambina. Ho vissuto grandissimi dolori e gioie inenarrabili. Sono stata compresa, amata e sostenuta. Sono stata criticata, giudicata, liquidata con lucida freddezza. Comprensione, amore e sostegno sono arrivati da chi ha provato ad indossare le mie scarpe e camminare nei miei passi. Critica e giudizio da chi è troppo impegnato ad elevarsi a potenza per poter accettare che esistano scelte diverse dalle proprie e siano ugualmente giuste. Perché a tutti piace avere ragione, ma non tutti ce l'hanno. E poiché amo tanto le parole, so che a volte non servono a nulla. Ci vogliono i fatti. E i fatti dicono che oggi realizzo il mio Sogno più alto. Vi auguro di essere magnifici e potenti. Di tracciare la vostra rotta e di percorrerla quando il sole illumina a giorno, quando imperversano le correnti. Vi auguro curiosità, speranza e non arrendevolezza. Non avete bisogno di nient'altro che questo per diventare ciò che siete destinati ad essere.