mercoledì 30 settembre 2015

La sposa

Alla Stazione di Roma Termini c'è una donna vestita di bianco. Il corpetto a fasce incrociate le tiene alti i seni, e le strizza forte il cuore. Quasi a volerlo placcare, in quel tum - tum nevrotico che, certe volte, sfugge ad ogni umano controllo.
La gonna è lo sbuffo ampolloso di un bambino annoiato, quando non vuole saperne di obbedire alla mamma. Ai piedi indossa un paio di sneakers rosso fiammante: due mini Ferrari con motore otto cilindri per correre lontani da un passato che non c'è.
"Taxiiiiiiiiii", chiama con voce squillante, agitando le dita sottili nell'aria. Non porta anelli. Solo l'ombra di un segno più chiaro lì, dove un tempo deve averne indossato uno.
"Taxiiiiiiiii", urla di nuovo. Poi prende il suo trolley verde speranza, lo adagia per terra e ci sale sopra. Come un marinaio di vedetta, allunga il collo, aguzza la vista, si volta a destra e poi a sinistra, così che nessun cavallo, carrozza, bici o auto sfondata possa sfuggirle.
Nessuno si ferma. Eppure tutti la guardano. Il mondo le osserva sempre le persone capaci di sovvertire gli schemi. Le guarda incantato. Ma le teme troppo per potersi avvicinare sul serio.
"Taxiiiiiii", e si siede sulla valigia. Scomodo sedile verde acido, con dentro chiusa tutta la sua storia.
Allora si alza, drizza la schiena, atteggia le braccia come la dama di un valzer intorno alle spalle di un cavaliere fantasma ed inizia dolcemente a ballare. All'ultimo giro di danza, due mani l'afferrano. Lui indossa una camicia bianca come chi è senza peccato, e un pantalone lercio - tenuto su da due bretelle sottili - come chi ha camminato a lungo ed è caduto spesso.
Lei non lo conosce. Lui non è il suo sposo. Lei non si è mai sposata.
Questa sera, però, ha smesso di prendere il dolore sul serio e ha cominciato a prenderlo in giro. Ha indossato il suo abito sciagurato di promesse infrante, ha regalato il bouquet scomposto di rose bianche a una ragazza triste, e ha scelto di partire, di andare lontano, mentre il mondo la guarda incantato e la giudica perché la invidia.

Antonia Storace