mercoledì 29 febbraio 2012

Universi di notte.

Buona notte a quei sogni che si adagiano, lesti, sul mio cuscino, e mi dormono accanto, sussurrandomi piano: "Ci ritroverai ancora qui, domattina".
Buona notte alle stelle, che si prendono gioco di noi. Loro non si preoccupano di rimettersi in piedi, più forti di prima, ad ogni caduta. Al contrario, fanno di ogni caduta un desiderio che si realizza. E ci tengono in pugno - incantevoli bagliori lontani - col naso all'insù, il cuore per aria, ed il cielo sopra la testa. Sono furbe, le stelle. Hanno capito come funziona.
Buona notte alle dita incrociate, per gioco o per scaramanzia. Perché non è vero, ma ci credo. Perciò, ti prego, ti prego, ti prego, fa che si avveri.
Buona notte ai gatti neri che parlano alla Luna sopra i tetti delle case di paese. Sembra sia l'unica ad ascoltarli, e a fare loro le fusa. Sono argentee ed eteree, le fusa della Luna. Impalpabili.
Vorrei essere una stella pettegola, per origliarne i perlacei segreti. Chissà cosa si dicono, i gatti neri e la Luna.
Buona notte ai si, e ai no. Agli intervalli. Alle pause caffè. Alle pause e basta. Ai sospiri di sollievo. Ai sospiri. Al bruco che non è ancora farfalla. Alle chiavi che aprono, e a quelle che chiudono. Ai passi avanti. Avanti agli altri. Perché, talvolta, bisogna accettare di essere migliori, migliori degli altri. Camminare accanto a loro, ci rallenta il passo.
Buona notte al mondo che cala le palpebre, e comincia a russare. Capitelo, è stanco anche lui. Povero diavolo.

©

sabato 25 febbraio 2012

Scampoli di cielo

In piedi sulla scrivania, imbratto di parole e disegni una delle pareti di camera mia. Le mani si tingono di inchiostro, e di colori: un po' di verde sulle dita, che la speranza non c'entra nulla. Il verde mi ricorda i fiori, e quella loro straordinaria capacità di sbocciare pure tra le macerie. O tra le fila del cemento. Strafottenti, e coraggiosi. Bellissimi.
E poi il giallo, al centro del mio palmo. Fa il verso al sole che, in questi giorni, sta provando e riprovando il suo inchino. All'Estate. E' fatto così, non vuole sfigurare.
E il blu lungo i polsi, che il cielo oggi è distratto, e allora me ne disegno uno spicchio sulla pelle. "Se lo scrivi, resta" - così mi hanno detto. Ed io voglio che resti. Perché non lo so com'è il Cielo Sopra Berlino. Ma quello Sopra Di Me è bello di sicuro.
Io me lo sono conquistato, il mio scampolo di azzurro. Ho combattuto affinché si facesse terso, e il mio cuore non era poi così aperto. Era un cuore spaventato, un po' ammaccato. Un cuore col dito puntato. Mi accusava di averlo maltrattato. Ma quello è riuscito ad infilarcisi lo stesso. In qualche modo, il cielo mi è entrato dentro. Mi ha presa alla sprovvista. Me ne sono accorta solo quando, improvvisamente, ne ho percepito l'infinità. Allora è successo che ho capito. Ho capito che, fino a quel momento, avevo soltanto intuito me stessa. Mi guardavo, da anni, come dietro un vetro appannato che sfuma i contorni, e rimpicciolisce i dettagli. Ma vedersi, vedersi davvero, mettere a fuoco sé stessi ... quella è tutta un'altra storia, signori.
Significa imparare l'indulgenza e per questo amare, e perdonare, la donna che eri un tempo. Quella che camminava per strada vestita di sbagli, e pezze a colori, ed etichette affibbiate da qualcuno - chissà quando, chissà perché - e conti mai saldati, e fallimenti ammantati di sforzo, e di tenacia. Quella stessa donna che poi - con una mano che non era più il solito pugno chiuso, ma dita tese e protese verso l'avanti - ho salutato con affetto, e con un pizzico di malinconia. Da lontano, le ho sussurrato: "Mi dispiace. Mi dispiace perché non ho saputo volerti bene abbastanza da preservarti la dignità, ed evitarti inutili dolori. Ora sei libera, ti lascio libera".
E lei se n'è andata, col suo carico di ieri e di domani mai arrivati. Eppure leggera ed impalpabile. Mi ha guardata negli occhi un'ultima volta e, con tenerezza, mi ha detto: "Non ti serbo alcun rancore. Ci siamo tenute compagnia tanto, e tanto a lungo, in quelle mattine senza entusiamo, e nelle notti faticose, eternamente uguali a loro stesse. Ma nulla è più certo del cambiamento ... e allora cambia. Sii il meglio di ciò che puoi essere".
Non dimenticherò mai la donna che ero. Ne proietto l'immagine attraverso il filtro degli occhi. E' stata la speranza che si traduce in volontà. La volontà che anima il muscolo. Il muscolo che diventa azione. L'azione che sfida la paura, e mette in moto la trasformazione.
Ma salutando lei, ho dato il benvenuto ad un'altra donna. Una donna diversa, non più così fragile ma non ancora forte. Solo un po' più vera, un po' più serena. Quasi in pace.

Copyright Viola Editrice

domenica 12 febbraio 2012

L'errore della perfezione

La prima volta che ho preparato la torta caprese ho scordato un ingrediente. Leggevo la ricetta, e cercavo di attenermi ad ogni indicazione, ma quella voce l'ho saltata a piè pari, i miei occhi proprio non l'hanno messa a fuoco. Ho mancato un pezzo. Per intero.
Me ne sono resa conto solo dopo, infornandola, quando ormai era davvero troppo tardi per tornare indietro, e rimediare a quello che si preannunciava essere un disastro culinario, ed un doloroso affronto alla mia autostima.
Così, ho atteso - impaziente - che trascorresse il tempo di cottura e, nel mentre, pensavo a come giustificare quel pasticcio.
Invece, miracolosamente e contro ogni aspettativa, era magnifica, deliziosa, la più buona che avessi mai mangiato.
Da allora, quell'ingrediente l'ho barrato via dalla ricetta. Come quando, da bambina, facevo il dettato, e sbagliavo una parola. Provavo a cancellarla con il correttore bianco perché non volevo restasse la macchia, lo scarabocchio sul candore immacolato del mio quaderno da prima della classe. Ma la maestra, puntualmente, me lo impediva. Mi diceva di tirarci sopra una linea, ed andare avanti.
Il perché di questo insegnamento l'ho capito solo poi, crescendo. O almeno provandoci.
Coprire l'errore con il correttore sarebbe stato come fingere che non fosse mai esistito. Tirarci sopra una linea con la biro blu, invece, avrebbe reso il mio foglio perlaceo più disordinato, e sicuramente meno elegante, ma mi avrebbe ricordato per sempre dov'è che avevo sbagliato, impedendomi di commettere lo stesso errore una seconda volta. Sarebbe stato un significativo monito per il mio futuro. Di donna, prima che di studentessa.

Forse, è così che funziona. Le cose belle nascono dalle regole del mondo, quelle che segui scrupolosamente, perché qualcuno ha detto che si fa così, e tu ci hai creduto.
Ma dagli errori, dalle variabili impazzite, dagli inciampi, dagli imprevisti impossibili da gestire, dai nastri che non puoi più riavvolgere, nascono le cose eccezionali. E perché mai dovrei accontentarmi di essere ordinaria quando potrei essere straordinaria?
La magnificenza è figlia illegittima di quella voce che ti arriva un po' appannata - nel silenzio delle notti che sono notti diverse dalle solite notti - e sembra dirti: "E' troppo tardi per tornare indietro". E allora non ti resta che andare avanti. Nonostante tutto. A dispetto di tutto. Da sola. Controcorrente. E mandare affanculo quella voce, in quelle notti che sono notti diverse dalle solite notti.

E la vita è come un quaderno di bambina, pieno di dettati, compiti a casa, pensierini, scarabocchi, macchie di inchiostro. Non puoi cancellarle, e nemmeno dovresti.
Gli errori sono ferite. E le ferite sono buchi che non si rimarginano mai del tutto. Così, il cuore si fa ogni giorno più simile ad uno scolapasta emotivo. Come un rubinetto che perde, e lascia andare via un po' di te, un po' di loro, un po' di tutto.

Mentre scrivo, dalla cucina arriva il profumo della torta appena sfornata. Lo respiro a pieni polmoni. Mi ricorda che sbagliare non è sempre sbagliato. Qualche volta, è la cosa migliore che ti possa capitare.

domenica 5 febbraio 2012

Succede quando nevica.


"Mentre Lui le insegnava a fare l'amore, Lei gli insegnava ad amare". [ F. De André ]


... ho sempre avuto paura di perdere le persone che amo. Ma talvolta mi chiedo se qualcuno ha paura di perdere me.