venerdì 30 ottobre 2015

In questi giorni, ho visto una donna di 62 anni prendersi cura di un uomo di 87, costretto in un letto d'ospedale.
L'ho vista imboccarlo come fosse un bambino, sbucciargli le mele più buone e portargli l'acqua alla bocca con amorevole cura; l'ho guardata inumidirgli le labbra, passargli un panno pulito su quella fronte di nonno che il tempo ha disegnato con la grafite delle sue storie; l'ho vista fare esercizio di pazienza davanti ai capricci e tirarlo su, con le sue braccia esili e il suo coraggio di donna, affinché stesse comodo dentro quelle lenzuola bianche di niente; l'ho osservata mentre parlava con i medici, tenendo dritte le spalle davanti alla diagnosi di una vita che rifugge da ogni fasulla certezza.
In questi giorni, ho visto una donna di 62 anni prendersi cura dell'uomo che le ha insegnato a guardare la linea d'orizzonte dall'alto delle sue spalle; che le ha montato le rotelle alla bicicletta, per farle sicura la strada. E poi gliele ha tolte, quando ha capito che nessuna strada è sicura davvero e le gambe devono farsi forti da sole; un uomo che ti porta all'altare e poi impara a camminarti dietro di un passo, senza farsi vedere, perché le presenze autentiche sono solide e non ingombrano. Quell'uomo che, per tutta la vita, racconti in due sillabe uguali, e ne accenti la coda alla fine, come in un guizzo di fulgida grazia che tende verso l'alto il suono più bello del mondo: papà.

Antonia Storace

2 commenti:

UIFPW08 ha detto...

Bellissimo post i miei complimenti
Maurizio

Agricoltore Anacronistico ha detto...

Tutto questo è estremamente commovente.
Grazie per la condivisione.
A.A.