venerdì 3 gennaio 2014

365

Trecentosessantacinque giorni, lentamente, sullo sfondo, in dissolvenza. Trecentosessantacinque giorni, e sentirli tutti. Forse pure qualcuno in più. Veronica al binario 1, l'abbraccio di Simona ed i suoi fulgidi capelli rossi, i porticati di Bologna - a cui spesso torno col pensiero, presto con in mano una valigia. I giorni di Pasqua. Quando ho scoperto che l'uomo che amavo aveva un'altra. Gli stessi in cui ho conosciuto Maria Rosaria. Quasi che la Vita volesse saldare il debito, pareggiare i conti. Gesù Cristo è morto, e risorto, in tre giorni. A me, è servito un anno per intero - con tutti i suoi tramonti, e ciascuna delle sue albe. Ma lui è il Figlio di Dio: parte con un discreto vantaggio, echecazzo!! La storia di una festa a sorpresa, di una vacanza che è stata il primo salto della fiducia - mentre, in auto, Jovanotti cantava: "Io penso positivo, perché son vivo, finché son vivo", ed un paio di occhi azzurri mi si incastravano dentro, tra quattro parole in italiano, mezza in inglese, ed un numero imprecisato di dolcissimi sorrisi imbarazzati: universal language of angels. La storia di una pulce ammaestrata, di un pendolo che oscilla, di un'Aquila che si impegna a meritare il suo posto in mezzo ad altre Aquile. La storia dei respiri consapevoli, della paura come indicatore - poiché ciò che temiamo è esattamente ciò che ci qualifica - del rancore, tristemente somigliante ad un guinzaglio, e del perdono - che comprende, senza per forza giustificare - così da liberare noi stessi, e gli altri: niente ci fa grandi come il coraggio di aprire le mani, e lasciar andare. La storia di un Natale che arriva con tre giorni di ritardo, sul calendario dell'intendere comune; di una cena che si è fatta gioco di squadra; di un trovatello a quattro zampe, che ora mi dorme accanto: la mia carezza del mattino. La storia dell'ultima notte dell'anno, e di una chiacchierata - lunga, inattesa e bellissima - cominciata col buio più pesto, fino al chiarore della primogenita alba. La storia di un gabbiano. Nell'attimo in cui punta le zampe sugli scogli, e si da lo slancio per volare. Esistono mille anni nuovi dentro un anno vecchio. Ricominciamo molte volte. Nel cuore di un giorno qualunque. Quando torniamo ad amare, rischiamo il certo per l'incerto, ed un sorriso ci sorprende in mezzo al pianto. Quando lasciamo i sentimenti piccoli alle persone piccole, per noi teniamo la verità che non cerca scuse e, così, impariamo a fare fesso il dolore. Quando cambiamo taglio di capelli, e ci sentiamo belle, dentro un abito nuovo, anche se all'orzo in tazza grande, con acqua calda a parte, preferiamo caffè nero bollente - che farà pure venire le rughe, ma almeno non ci fa sembrare frigide come Nostra Signora delle Nevi - non abbiamo due occhi verdi da esibire, lo stacco di coscia di Julia Roberts, o una coroncina da reginetta di bellezza arrivata seconda: che i secondi sono i primi degli ultimi, e qualcuno dovrebbe ricordarselo. Ricominciamo quando ci dice "grazie" un'amica; quando capiamo di averne ancora molta di strada da fare - questo si - ma quella che muove nella direzione di un sogno più alto; quando il disamore degli altri non ha più il potere di farci sentire piccoli, e troviamo il coraggio di correre da, e con chi, davvero vorremmo ci camminasse affianco. Ricominciamo molte volte. Nel cuore di un giorno qualunque. Quasi mai il primo Gennaio.

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3 commenti:

Martina ha detto...

Mi sono imbattuta nelle tue parole per caso, in un recente pomeriggio di quelli che sembrano non avere fine.
E le tue sono parole che rimescolano dentro, che ti sorprendono in punta di piedi e silenziose sono capaci di grandi rumori.
Così, per questo nuovo anno, ho deciso di regalarti le mie. E spero anche un sorriso.

Guardo in su, là in alto.
Intanto il cielo è diventato definitivamente blu, blu scuro.
Sebbene stanca, è difficile dormire.
Il suo sorriso, le sue mani calde, un desiderio, quello che avrei voluto fare ma non l’ho fatto, una serie di rimpianti, tutti in una volta, come i soldi che scendono dalla macchinetta in una giocata vincente, sembrano non finire mai. La differenza è che i miei rimpianti non portano niente di buono.
Poi le sere che ho riso fino al punto di buttarmi per terra, le amiche e quella musica alta, il fedele mare che in estate è sempre pronto, per noi, per deliziarci.
Quella nuova lettura, quelle sere passate a scrivere, a mangiare cioccolato per riempire mancanze.. e di nuovo quello che avrei voluto dire, che gli avrei tanto voluto dire e ora non c’è tempo, nessun intervallo, nessuna nuova occasione.
Poi un nuovo giorno, un altro risveglio. Mi accorgo che non era niente di grave, era solo un nuovo anno. Bene. Meglio.
Nuovi propositi. Forse sempre gli stessi.
Nuove speranze. No, troppo impegnative.
Quando si tratta di salutare il vecchio anno si fa l'elenco della sfilza di momenti passati, si chiede scusa, si dice grazie, c'è chi urla un "Ti amo", e chi dice a bassa voce "Ti voglio bene".
Io preferisco essere solo un pò malinconica, permettetemelo.
Mi sento come un contenitore, racchiudo dentro ogni frammento di ciò che mi si presenta davanti. Ed il contenitore deve essere sempre maggiore del contenuto per poter tenere quest'ultimo dentro di se. Ecco, io sono più grande di ciò che contego, riesco a controllare bene ciò che vuole uscire, gestisco ogni pezzetto a mio piacimento. Chiamiamolo meccanismo di difesa, ma ogni tanto mi frega, dovrei solo imparare a mollare il freno a parole o fatti.
Così magari l'anno prossimo non mi ritrovo con l'ansia dei rimpianti.
Vado alla finestra. Non posso aprirla, farei troppo rumore, ma dai buchini della serranda vedo che il cielo è più chiaro, sempre blu, ma qualche squarcio di luce inizia a intravedersi. Chissà, il giorno e la notte staranno litigando.
Tutti iniziano il buon anno con una parola chiave “nuovo”.
Io sono morbosamente attaccata al vecchio, al tradizionale, a quello che mi ha fatto stare bene e non vedo motivo di abbandonare per qualcosa di diverso.
Forse ho esagerato. Non sempre son stata bene. Ma non credo starei meglio facendo pulizia, accogliendo qualcosa di ignoto, sconosciuto.
Ho iniziato questo nuovo anno con discorsi irrazionali, senza senso, illogici. Come piacciono a me. Mi fanno sentire leggera. E mi basta. Al nuovo anno non chiedo nient’altro, ho imparato a non farmi strane illusioni.
Mi basta. Per ora.
Mi è bastato distrarmi un attimo, guardo fuori, ha vinto il giorno.

Antonia Storace ha detto...

Apri l'armadio. Tira fuori ogni vestito e, uno per volta, ripercorrine la storia: se il ricordo a cui è legato è un ricordo felice, tienilo; se è un ricordo triste ed improduttivo, buttalo via; se, invece, si tratta di un ricordo triste dal quale, tuttavia, hai imparato una lezione importante, conservalo. Ti aiuterà a mettere ordine, a focalizzarti su ciò che davvero conta e, cosa più importante, su quello che coraggiosamente desideri.
"Mi basta" è un'espressione assai malinconica, quando si tratta del mero sforzo di autoconvincersi che va bene così, ma poi, nel buio della notte, con la testa poggiata sul cuscino, i pensieri si fanno spilli appuntiti e non ci lasciano dormire.
Lascia che il giorno vinca anche dentro, non solo fuori.
Coelho diceva: "L'ora più buia è sempre quella che precede il sorgere del sole".
Perciò sorgi. Sii il sole di te stessa.

Ti abbraccio, Martina. Chiunque tu sia.

Un sorriso. Antonia.

Baol ha detto...

Anche per me è un anno che ho sentito tutto, giorno per giorno...come quasi tutti gli ultimi.

Buon 2014 Antonia