mercoledì 28 dicembre 2011

Tutti sono giocatori. Pochi veri vincitori.

Giorno per giorno è l'unico modo di vivere che conosco. Qualche volta, anche mezz'ora per mezz'ora va bene. Anzi, va addirittura meglio.
I progetti a lungo termine muoiono lungo l'asse del Tempo, che tutto può e tutto cambia. Negli avamposti di un Futuro che non necessariamente è per tutti e, quasi certamente, non è quello che avevi previsto, neppure quello in cui speravi. Può darsi sia un Futuro persino migliore, migliore di quanto credessi. Ma questo ti è dato scoprirlo solo quando, arrivando - più o meno incolume, più o meno intero, più o meno vivo - alla fine della partita, Tu e Lui - il Futuro - mettete giù le ultime carte del mazzo. E no, non è come una mano di poker. E' più un "asso piglia tutto". Piglia tutto quello che di buono riesci ad arraffare. Piglia tutto ciò che torna utile al cuore. Piglia tutto ciò che fa da maestro, e ti insegna la Vita. Un po' di Vita. La Vita che ti serve, quella che ti basta. Se te ne basta.
Allora, solo allora, si tirano le somme. E non per forza sono le somme definitive. Il tempo per un altro giro di giostra, un altro drink, un'altra scommessa, un lancio di dadi, una rivincita, c'è ancora. C'è sempre. Per questo, io gioco. Fintanto che il coraggio mi tiene, la mano non trema, il cuore rimane saldo. Eternamente fedele a sé stesso.
Non si sa mai che, in ultimo, riesca a cambiare il risultato.

domenica 11 dicembre 2011

Tic - Tac. Tic - Tac.

A furia di dire: "E' solo un momento. Passerà", a passare è stata la vita. Quando non capivo che quei momenti, quei momenti che sarebbero dovuti passare, erano anch'essi, a modo loro, meravigliosa vita. Solo un po' più fragile, un po' più rotta. Vita spezzata. Vita incerta. Vita che ne aveva piene le palle. Ma comunque Vita.
Ed invece, io aspettavo. Aspettavo la dipartita di quei momenti per poter essere felice. Sarei stata felice dopo - mi dicevo - dopo che fossero passati.
Avrei dovuto, piuttosto, essere felice nel mentre, nel mezzo, durante. Così, non avrei sprecato il più prezioso dei doni: il Tempo.


E' quel tipo di amore lì, che voglio. Un amore che rompa gli schemi e, qualche volta, pure i coglioni. Un amore che non conosca calendario, che non sappia cosa sia un anniversario, un amore senza picci-picci o pucci-pucci. Uno di quegli amori in cui ci si grida contro, se necessario. Ma poi si resta saldi, spalla a spalla, per fare fronte comune.
Voglio un amore che non abbia tabelle di marcia: presentazione - numero di telefono - primo appuntamento - primo bacio al primo appuntamento ( un cliché ) - un paio di settimane di tira e molla tra palpative varie, con atteggiamento da frigida consumata, perché: "Io non sono una ragazza facile, per chi mi hai presa?" - e tutto quello che, generalmente, viene dopo.
Io, voglio un amore che non conosca la parola "generalmente". Un amore al contrario, che nasca dalla fine e finisca con l'inizio. Un amore che vive, e si esprime, come cazzo gli pare. Un amore in cui non è mai troppo presto, e neppure troppo tardi, per dirsi ti amo, per fare l'amore, o per mandarsi affanculo. Voglio un amore che morda, e che graffi, e che mi spacchi l'anima. Un amore che sia Passione, e Ossessione, e Rivoluzione. Imperturbabile moto di cambiamento.
Voglio un amore che, alla domanda: "Perché lo ami?" , mi faccia rispondere con un autentico: "Non lo so". Non lo so perché lo amo. Se lo sapessi, se riuscissi a ricondurre ciò che provo ad una ragione, ad una motivazione logica, non sarebbe amore.
Non si ama qualcuno perché è bello, o intelligente. Colto, o divertente. Forte, e romantico. Certe doti appartengono a molte, moltissime persone. E non possiamo certo amarle tutte.
Amore cerca Unicità. Unico e solo, in mezzo agli altri. Speciale, non perché scelto tra mille altri di poco valore. Speciale, perché trovato tra mille miliardi di altri di immenso valore che potevano essere ma, semplicemente, non sono.
Voglio un amore che sia. Un amore esigente.


Copyright Viola Editrice

venerdì 9 dicembre 2011

Ciò che facciamo in Vita, riecheggia nell'Eternità.

Stanotte, mi manchi tanto.
Tu mi manchi sempre. Ma stanotte un po' di più. Un po' troppo. E' quella mancanza che non puoi sostenere, il peso di un'assenza che non sai sopportare, l'eco assurda del silenzio che si schianta contro il petto ed arriva a mettere un punto.
Stanotte, non ce la faccio. Stanotte mi chiedo perché la stronzissima morte abbia sparato nel mucchio, e abbia scelto proprio te. Te fra tanti.
Stanotte, più di altre notti, non capisco. E allora il cuore si spacca. Un'altra volta. Una volta in più. Una di troppo.
Non c'è giorno in cui il pensiero di te non mi accompagni. Solo chi ha amato, e perso, può comprendere quanto inconsolabile sia questo dolore, quanto incolmabile diventi questo vuoto. E' come un pezzo che ti viene rubato, e poi nascosto. E tu stai lì, e continui a cercare, a rovistare in ogni angolo, di ogni cassetto, di ogni piega dell'anima. Senti che quel pezzo c'è, da qualche parte. Ma non lo vedi. Lo senti, ma non lo puoi toccare. Ti sussurra sottovoce, ed è solo in silenzio che puoi rispondergli.
In ogni lacrima c'è uno spicchio di te. In ogni mattino che vede i miei occhi aprirsi, io mi ricordo del tocco mordace con cui affrontavi la vita, i suoi inganni, e le sventure, i successi e le partenze. E allora ringrazio. Ringrazio Dio, se un Dio esiste, o chi per lui. Ringrazio per avermi fatto vedere una nuova alba, che coincide con una nuova sfida, figlia di una nuova possibilità. Ringrazio, perché io ci sono ancora, e ancora posso provarci. A vivere come tu mi hai mostrato. Perché se io - e chi, come me, ti ha amato - fa del tuo esempio un baluardo contro i travagli della vita, allora tu non muori. Non te ne vai. Non sei lontano. Tu ci sei. Qui con me. Qui con noi. Tutto intorno.
E sento il tuo abbraccio, come una coperta calda, nel freddo di quelle notti che sono notti diverse dalle altre. Notti in cui arrendersi non è concesso. Provarci ancora è un obbligo morale.

Quando qualcuno che ami se ne va, è come un pezzo di cielo che cade. Ora, al posto di quel pezzo, c'è una stella.
Sii Luce. Stanotte, più di ogni altra, illuminami.

lunedì 5 dicembre 2011

Voglio un bacio. Di quelli che ti sputtanano, perché dicono tanto, dicono troppo, di te.
Uno di quei baci in cui ci sputi dentro l'anima e, quando poi te la riprendi, non è più la stessa anima. E' un'anima diversa. Piena di coscienza e di consapevolezza. Un'anima stropicciata.
Voglio un bacio che mi faccia a pezzi le labbra, ma ricomponga i cocci del cuore. Uno di quei baci che lasciano un segno, un morso, un rimpianto. Un bacio che mi faccia dire: "Non avevo mai baciato prima di oggi".


Io sono quella che aspetta. Aspetto che gli altri siano pronti. Pronti a fare cosa - poi - mica l'ho capito.
Io sono quella che porta pazienza. Cammino, da sempre, in punta di piedi nei giorni degli altri.
Le mie amiche, in borsa, hanno il rossetto e la cipria per rifarsi il trucco. Io, in borsa, ho un metro. Per prendere le misure, ed evitare di occupare troppo spazio nell'esistenza altrui.
Io sono quella che si è rotta i coglioni. Ora voglio qualcuno nella cui vita possa stravaccarmi senza tanti timori.

mercoledì 16 novembre 2011

Il cuore è un sopravvissuto.

La memoria del cuore è indelebile, ed eterna.

Il tempo logora ogni cosa, ed ogni cosa cancella. I contorni svaniscono. Le circostanze, i fatti, gli accadimenti, che ci vedevano protagonisti, si confondono. Le date si sovrappongono. Si aggiungono e si sottraggono. Si moltiplicano. Scrivono la cronologia alterata della nostra storia personale. I volti incrociati si mescolano, e si prestano occhi, nasi, orecchie, bocche. Sbiadiscono. Lentamente, ma inesorabilmente. Estranei che, una volta, conoscevamo molto bene e che, oggi, assomigliano ad ombre lontane, fantasmi di una vita che era e non è più, ninnoli dislocati qua e là, senza una logica precisa, lungo gli scaffali del ricordo. Polverosi, dimenticati, anonimi.

Rimangono gli scontrini. I biglietti del treno, in chissà quale viaggio. Gli appunti sui fazzoletti di carta. Una vecchia fotografia che ancora porta incisa, sul retro, la data. Una cartolina sgualcita, scordata sul fondo di quei cassetti che restano chiusi troppo, e troppo a lungo. La copertina di un libro che custodisce una dedica d'amore. Un orsetto di peluche che ha visto primavere migliori. Una sciarpa infeltrita, alleata fedele contro il freddo dei passati inverni. Un paio di jeans che, ormai, non ti sta più - cazzo, sono ingrassata!! O forse no, sono solo cresciuta. Un maglioncino slargato, tra le cui cuciture è rimasto incastrato il suo profumo. Una giacca troppo piccola per un destino troppo grande. Un tacco rotto. Una fodera bucata, dalla quale è scappata via qualche moneta, un mazzo di chiavi, un po' di vita.
Testimoni silenziosi, impassibili, immediatamente percepibili al tatto. Ti riportano con la mente a certi giorni, certi luoghi, certa gente. Descrivono l'invisibile ragnatela di un primo appuntamento, dei Natali in famiglia, delle lezioni alle otto del mattino, che ti sorprendono sognante e addormentato tra i banchi di scuola, dei "per sempre" pronunciati ad alta voce, delle gambe aperte troppo in fretta, dei cuori tenuti chiusi troppo a lungo, di un'infanzia che ci vedeva divisi tra soldatini e principesse, dei pomeriggi consumati a far l'amore, dei viaggi in auto - che se buchi una ruota non sei in grado di cambiarla, e allora, forse, gli uomini servono a qualcosa - di quell'incidente, quella notte, che ti ha strappato via qualcuno che amavi e, se un Dio esiste, non ti sa consolare.

Tuttavia, ciò che resta davvero, imperituro e forte, è il ricordo delle "sensazioni". Il ricordo dell'emozione che ti ha rimbambito la mente, e fatto tremare il cuore. Non ha bisogno di alcuna prova tangibile della sua trascorsa esistenza. Rimane nascosto nel doppiofondo sconosciuto dell'anima, come l'avanzo di una poesia che si finge di aver scordato ma di cui, in verità, si ricorda ogni verso, ogni rima, la metrica e il suono. Qualunque dettaglio.

La memoria del pensiero nasce e muore. Come ogni cosa mortale.
La memoria del cuore, invece, sopravvive a tutto. Persino alla sua stessa fine.



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