Lunedì compio gli anni. 25. E' un bel numero, il 25. Un quarto di secolo.
Pensavo che un giorno, non troppo lontano, mi piacerebbe diventare mamma. Avere una figlia.
A Ginevra racconterò, ogni sera, una favola nuova, per conciliarle il sonno. Ma, nelle sue favole, non ci saranno principi coraggiosi e principesse indifese. Non ci saranno draghi, spade magiche, bianchi destrieri, streghe e ranocchi. Non ci saranno fate turchine, grilli parlanti, gnomi o folletti.
Le favole di Ginevra racconteranno la storia dei veri super-eroi. Quelli che incontri ogni giorno, tutti i giorni. Al supermercato, all'università, in fila alla posta, nel vagone di un treno, alla fermata dell'autobus, per le vie del centro, in piazza, nella trattoria all'angolo, lungo la strada.
Uomini e donne, eternamente bambini, oppure vecchi nel cuore. Speranzosi, o disincantati. Vittoriosi, o perdenti. Ostinati, determinati, o arrendevoli. Pragmatici e sognatori. Cinici, realistici e romantici. Una gamma infinita di infinite vite.
Le insegnerò che non sempre i mostri cattivi vengono sconfitti dal prode cavaliere, senza macchia e senza paura. Perché non esiste nessuno che sia davvero senza macchia, e senza paura.
Qualche volta i mostri vincono. E' non c'è niente di sbagliato. Anche se fa male.
Le insegnerò che dare non è meglio di avere. Perché ci sono cose, nella vita, che si devono avere per forza.
E' importante avere un sogno, per cui lottare. E poi un altro, per cui lottare di più. E un altro ancora, che valga i primi due.
E' importante avere un posto in cui tornare, dopo essere stati via dal mondo, e da sé stessi, troppo, e troppo a lungo.
E' importante avere un amico su cui contare. Qualcuno che conosca la differenza tra sentire ed ascoltare. Consigliare e giudicare. Qualcuno che non dica "te l'avevo detto", anche se lo pensa.
E' importante avere determinazione a sufficienza per perseguire un obbiettivo, e saggezza abbastanza per capire che, qualche volta, è necessario "lasciar andare".
Lasciare andare un dolore, o una sconfitta. Una paura, o una vittoria. Un errore, ed un successo. Un amore, o un'illusione. E ricominciare.
E' importante avere una dose massiccia di ironia cui dare fondo nei momenti difficili. E una scorta segreta di umorismo illimitato.
Sarò la sua pusher di sorrisi.
Le insegnerò che le regole esistono e, qualche volta, vanno infrante. Che i limiti ci sono, e vanno superati. Perché la vita non può essere costretta nel perimetro delle definizioni. Può essere necessario uscire dal seminato, saltare la staccionata, e correre a pedifiato nel nulla dello spazio circostante, per capire chi siamo, e cosa ci manca.
Le insegnerò che la libertà è la più grande delle ricchezze, e la più sudata delle conquiste.
Le insegnerò che essere donna è un mestiere difficile. Ed affascinante.
Le racconterò del mio primo amore. E spererò, con tutto il cuore, che il suo sia più bello, e rispettoso. Le racconterò del mio primo giorno di scuola, e del primo esame. Della prima volta in cui sono rientrata tardi, e papà si è arrabbiato. Le racconterò della prima volta in cui ho indossato i tacchi, e del primo libro che ho letto. Della prima bicicletta, e dei miei primi pattini. Delle ginocchia sbucciate, e dei primi diari. Le racconterò del mio primo bacio, e della mia prima volta.
E poi, le spiegherò che, spesso, le seconde volte riescono meglio.
Le insegnerò che i libri sono come le persone. Alcuni ti tengono compagnia lungo l'arco di un respiro. Altri, invece, sono per sempre.
Le insegnerò a porgere l'altra guancia. E le ricorderò che di guance ne ha due soltanto.
Le insegnerò a non tradire sé stessa.
Le racconterò che, per lungo tempo, ho creduto che mai avrei avvertito il desiderio di diventare mamma.
Poi, un mattino, un mattino qualsiasi, senza una ragione apparente, mi sono scoperta a pensarci. E più ci pensavo, più mi piaceva.
Se un giorno arriverai, sappi che le mie braccia sono già pronte ad accoglierti.
Infine, le racconterò che lei è il frutto di un grande, grandissimo atto d'amore.
Copyright Viola Editrice
sabato 21 maggio 2011
lunedì 16 maggio 2011
Son le cose che hai odiato di più.
Odio. Lo spago colorato che strozza i veli delle bomboniere. Quelli in cui sono contenuti i confetti al cioccolato. Che, per riuscire a mangiarli, devi istituire un vero e proprio fronte di liberazione, con artiglieria da combattimento al seguito: unghie, denti, forbici e coltelli, una volta persino le tenaglie.
E poi, scopri che i confetti sono alle mandorle, non al cioccolato. Puah!!
Odio. Gli uomini che non sanno lasciarti andare. Ma neppure provano a trattenerti. Ed odio le donne che si accontentano delle briciole. Perché, un tempo, ero una di loro. Un tempo lontano.
Prima che la Vita si mettesse alla cattedra, e mi insegnasse la più importante delle sue lezioni. Parafrasando una famosa citazione letteraria: "Le persone che amano sé stesse, non si affannano nel disperato tentativo di farsi rispettare. Semplicemente, non si relazionano con chi non le rispetta".
Odio. Il sapone sotto le unghie. Le calze smagliate. Il caffè amaro. Ed il rimmel che sporca la palpebra superiore dell'occhio. Che tu ci hai messo un'ora buona per stendere l'eye liner, e l'ombretto. Hai dato fondo alla tua pazienza per curare anche la più piccola delle sfumature di colore. Hai invocato ogni sorta di santo - che manco Dio riuscirebbe a ricordarli tutti - perché la mano non tremasse, e non ti facesse sbavare. E poi, eccolo lì. Il fastidioso, peccaminoso, indistruttibile puntino nero. Figlio di un mascara traditore.
Come scrive Guccini, e come canta la Mannoia, odio: "Le fedi fatte di abitudini e paura. Una politica che è solo far carriera. Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione, e mai col torto .." ..
Odio quelli che odiano i mercatini. Un tripudio di colori cangianti. Allegoria di vite, e di persone. Fruttivendoli e signore ingoiellate. Adolescenti che hanno bigiato la scuola, e nonnine battagliere pronte a strappare un affare sul prezzo. Commercianti goliardici e pittoreschi. Pescivendoli, calzolai, bambini appiccicosi di zucchero filato, e giovanissime, inconsapevoli starlette sculettanti. Una vasta scelta di abiti, ed oggetti, inusuali. Che, probabilmente, non sfileranno mai sulle passerelle ultra-chic di Milano, o non saranno esposti nelle sbrilluccicose vetrine degli atelier francesi. Ma poco importa. La vita di tutti i giorni è la nostra personale passerella.
Odio i cinici. Per tutte le volte che, io per prima, lo sono stata. Odio l' ironia dissacrante. Quella che non sa divertire. L'ironia che si limita a sbeffeggiare, e demolire. Figlia di un'invidia che - si dice - sia la più sincera manifestazione dell'ammirazione. Eppure, fa male lo stesso.
Odio, gli anticonformisti per professione. I criticoni. Che se fai, o dici, una cosa buona, loro sono sempre lì, chiusi nel dorato isolamento della loro superbia, a farti notare quello che non va, quello che avresti potuto fare meglio, quello che loro avrebbero saputo fare meglio.
Peccato che non l'abbiano fatto.
Non simpatizzo nemmeno per i puntini sospensivi. Un tempo, li usavo spesso. Nei temi, al liceo. Negli sms. Anche nei post, sul blog. Credo fossero lo specchio della mia vita di allora. Una vita sospesa. Una vita in attesa di qualcosa che, in verità, non sarebbe cambiato se io stessa non avessi provveduto al cambiamento. Una vita senza contorni. Assenza di colore di definizione.
Oggi, il mio modo di scrivere è radicalmente mutato. Periodi brevi, netti e decisi. Come una stilettata al cuore. Molti punti, qualche virgola, raramente puntini sospensivi.
Oggi, sono assai diversa dalla persona che ero appena un anno fa. Più consapevole, e per questo più forte ed equilibrata. Più indipendente. E, soprattutto, più libera.
Libera dal ricatto delle attese, dalla galera delle passate illusioni, dalla gogna delle aspettative future. Affrancata da molti ( forse non tutti ) dolori di un tempo. Orgogliosa delle vittorie, e più orgogliosa ancora delle sconfitte.
Odio la banalità di certi primi appuntamenti. E quelli che la confondono, volutamente, con la semplicità.
Sarebbe bello un pic nic al planetario. Un gelato sulla ruota panoramica. Una mostra fotografica ed un concerto jazz. Una gita all'orto botanico. Che un po' ammicchi, e po' no, tra un cespuglio di betulle, ed una quercia secolare. Una chiacchierata, a notte fonda, seduti su un gradino delle scale. Voglio un uomo che sappia fare l'amore con la mia testa, prima che col mio corpo.
Odio il primo bacio, al primo appuntamento, ad ogni costo. Come fosse una tappa obbligata. Che, se non lo fai, lui se ne ritorna a casa con la convinzione di non piacerti. E invece, tu sei solo una che da valore al tempo, e tempo alla sacralità di certi momenti. Perché i baci sono sacri. Ed il primo bacio lo è anche di più. Ti racconterà tutto ciò che le parole non hanno saputo dire. L'imbarazzo di un'emozione che ti ha obbligato ad abbassare lo sguardo, nel timore che il cuore esplodesse troppo in fretta.
Un bacio può persino svelarti il destino di un amore. E' il più affidabile dei cartomanti. Più sicuro dei fondi di caffè. Più sincero di qualunque combinazione astrale. Ma, forse, assai più complicato.
Per questo, è necessario cogliere il momento perfetto. Aspettare che arrivi. Senza forzature. Spontaneamente. Perché la Spontaneità è madre delle cose autentiche.
Copyright Viola Editrice
E poi, scopri che i confetti sono alle mandorle, non al cioccolato. Puah!!
Odio. Gli uomini che non sanno lasciarti andare. Ma neppure provano a trattenerti. Ed odio le donne che si accontentano delle briciole. Perché, un tempo, ero una di loro. Un tempo lontano.
Prima che la Vita si mettesse alla cattedra, e mi insegnasse la più importante delle sue lezioni. Parafrasando una famosa citazione letteraria: "Le persone che amano sé stesse, non si affannano nel disperato tentativo di farsi rispettare. Semplicemente, non si relazionano con chi non le rispetta".
Odio. Il sapone sotto le unghie. Le calze smagliate. Il caffè amaro. Ed il rimmel che sporca la palpebra superiore dell'occhio. Che tu ci hai messo un'ora buona per stendere l'eye liner, e l'ombretto. Hai dato fondo alla tua pazienza per curare anche la più piccola delle sfumature di colore. Hai invocato ogni sorta di santo - che manco Dio riuscirebbe a ricordarli tutti - perché la mano non tremasse, e non ti facesse sbavare. E poi, eccolo lì. Il fastidioso, peccaminoso, indistruttibile puntino nero. Figlio di un mascara traditore.
Come scrive Guccini, e come canta la Mannoia, odio: "Le fedi fatte di abitudini e paura. Una politica che è solo far carriera. Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione, e mai col torto .." ..
Odio quelli che odiano i mercatini. Un tripudio di colori cangianti. Allegoria di vite, e di persone. Fruttivendoli e signore ingoiellate. Adolescenti che hanno bigiato la scuola, e nonnine battagliere pronte a strappare un affare sul prezzo. Commercianti goliardici e pittoreschi. Pescivendoli, calzolai, bambini appiccicosi di zucchero filato, e giovanissime, inconsapevoli starlette sculettanti. Una vasta scelta di abiti, ed oggetti, inusuali. Che, probabilmente, non sfileranno mai sulle passerelle ultra-chic di Milano, o non saranno esposti nelle sbrilluccicose vetrine degli atelier francesi. Ma poco importa. La vita di tutti i giorni è la nostra personale passerella.
Odio i cinici. Per tutte le volte che, io per prima, lo sono stata. Odio l' ironia dissacrante. Quella che non sa divertire. L'ironia che si limita a sbeffeggiare, e demolire. Figlia di un'invidia che - si dice - sia la più sincera manifestazione dell'ammirazione. Eppure, fa male lo stesso.
Odio, gli anticonformisti per professione. I criticoni. Che se fai, o dici, una cosa buona, loro sono sempre lì, chiusi nel dorato isolamento della loro superbia, a farti notare quello che non va, quello che avresti potuto fare meglio, quello che loro avrebbero saputo fare meglio.
Peccato che non l'abbiano fatto.
Non simpatizzo nemmeno per i puntini sospensivi. Un tempo, li usavo spesso. Nei temi, al liceo. Negli sms. Anche nei post, sul blog. Credo fossero lo specchio della mia vita di allora. Una vita sospesa. Una vita in attesa di qualcosa che, in verità, non sarebbe cambiato se io stessa non avessi provveduto al cambiamento. Una vita senza contorni. Assenza di colore di definizione.
Oggi, il mio modo di scrivere è radicalmente mutato. Periodi brevi, netti e decisi. Come una stilettata al cuore. Molti punti, qualche virgola, raramente puntini sospensivi.
Oggi, sono assai diversa dalla persona che ero appena un anno fa. Più consapevole, e per questo più forte ed equilibrata. Più indipendente. E, soprattutto, più libera.
Libera dal ricatto delle attese, dalla galera delle passate illusioni, dalla gogna delle aspettative future. Affrancata da molti ( forse non tutti ) dolori di un tempo. Orgogliosa delle vittorie, e più orgogliosa ancora delle sconfitte.
Odio la banalità di certi primi appuntamenti. E quelli che la confondono, volutamente, con la semplicità.
Sarebbe bello un pic nic al planetario. Un gelato sulla ruota panoramica. Una mostra fotografica ed un concerto jazz. Una gita all'orto botanico. Che un po' ammicchi, e po' no, tra un cespuglio di betulle, ed una quercia secolare. Una chiacchierata, a notte fonda, seduti su un gradino delle scale. Voglio un uomo che sappia fare l'amore con la mia testa, prima che col mio corpo.
Odio il primo bacio, al primo appuntamento, ad ogni costo. Come fosse una tappa obbligata. Che, se non lo fai, lui se ne ritorna a casa con la convinzione di non piacerti. E invece, tu sei solo una che da valore al tempo, e tempo alla sacralità di certi momenti. Perché i baci sono sacri. Ed il primo bacio lo è anche di più. Ti racconterà tutto ciò che le parole non hanno saputo dire. L'imbarazzo di un'emozione che ti ha obbligato ad abbassare lo sguardo, nel timore che il cuore esplodesse troppo in fretta.
Un bacio può persino svelarti il destino di un amore. E' il più affidabile dei cartomanti. Più sicuro dei fondi di caffè. Più sincero di qualunque combinazione astrale. Ma, forse, assai più complicato.
Per questo, è necessario cogliere il momento perfetto. Aspettare che arrivi. Senza forzature. Spontaneamente. Perché la Spontaneità è madre delle cose autentiche.
Copyright Viola Editrice
venerdì 13 maggio 2011
Né vincitori né vinti
Le donne forti camminano dritte, lungo l'asfalto della vita. Sono donne difficili. Sono donne che non si accontentano più. Hanno il sole negli occhi, e qualche relitto di troppo nel cuore. Eppure, non si stancano di sfidare l'incertezza del mare.
Vivono di sogni mischiati al cemento. E capita che non sappiano più distinguere gli uni dall'altro.
Danzano scalze. Un po' zingare, un po' selvagge. Eternamente bambine, sotto le ciglia vestite di rimmel, e le labbra rosso rubino.
E' la mente a partorire il loro erotismo che, lento, si annida nel cuore. E poi, sinuoso, si traduce sul corpo. Il loro fare l'amore, è un fare l'amore complesso. Per questo, quando prendi una donna, non ne prendi un pezzo soltanto. Ne sposi l'armoniosa, assoluta, totalità.
Le donne forti spogliano l'anima, la vestono di magnifico nulla, la dividono in parti, piccolissime parti, e ne mettono una in ogni cosa che fanno. Tutto quello che toccano diventa magia.
La loro vita è una corsa ad ostacoli, senza podio e senza medaglie. Si portano addosso i fallimenti, e le sconfitte, con innata eleganza, e dignità sofferta. Come un tassello di vita che, malgrado il dolore, non baratterebbero mai. Perché sono ciò che sono. E non lo rinnegano.
Le donne forti non smettono di cercare qualcuno per cui valga la pena tornare ad amare. Perché le donne forti tornano ad amare una volta ancora, una volta in più, una di troppo. Anche dopo aver giurato a sé stesse che mai più lo avrebbero fatto.
Le donne forti fanno paura. Ma sono le sole per cui valga lo sforzo.
Copyright Viola Editrice
Vivono di sogni mischiati al cemento. E capita che non sappiano più distinguere gli uni dall'altro.
Danzano scalze. Un po' zingare, un po' selvagge. Eternamente bambine, sotto le ciglia vestite di rimmel, e le labbra rosso rubino.
E' la mente a partorire il loro erotismo che, lento, si annida nel cuore. E poi, sinuoso, si traduce sul corpo. Il loro fare l'amore, è un fare l'amore complesso. Per questo, quando prendi una donna, non ne prendi un pezzo soltanto. Ne sposi l'armoniosa, assoluta, totalità.
Le donne forti spogliano l'anima, la vestono di magnifico nulla, la dividono in parti, piccolissime parti, e ne mettono una in ogni cosa che fanno. Tutto quello che toccano diventa magia.
La loro vita è una corsa ad ostacoli, senza podio e senza medaglie. Si portano addosso i fallimenti, e le sconfitte, con innata eleganza, e dignità sofferta. Come un tassello di vita che, malgrado il dolore, non baratterebbero mai. Perché sono ciò che sono. E non lo rinnegano.
Le donne forti non smettono di cercare qualcuno per cui valga la pena tornare ad amare. Perché le donne forti tornano ad amare una volta ancora, una volta in più, una di troppo. Anche dopo aver giurato a sé stesse che mai più lo avrebbero fatto.
Le donne forti fanno paura. Ma sono le sole per cui valga lo sforzo.
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giovedì 5 maggio 2011
Ad ogni nuovo inizio.
Questa strana storia, qualche volta buffa, sempre romantica, a tratti irriverente, spesso malinconica, o persino cinica, è iniziata due anni, cinque mesi e diciassette giorni fa.
La febbre di scrivere, invece, è nata con me.
C'è stato un tempo in cui nessuno conosceva il mio blog. Nessuno lo leggeva. Nessuno commentava. A parte qualche caro amico, mosso dalla solidarietà. Dal cameratismo. E - non mi sento di escluderlo - dalla pietà.
Oggi, conto cinquecentotrentasette follower. Li chiamano così. Follower. O lettori fissi. Io preferisco, semplicemente, lettori. Perché, come direbbe Baricco: "Leggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola, e più dolce, custodia di ogni paura. Un libro che inizia".
E la vostra vita è passata di qui, consapevolmente e non. Quella vita con le sue paure, le sue attese, gli incanti e i disamori, le felicità rubate e le gioie conquistate.
"Tacchi a spillo e gambe di zucchero filato" è il verso di una poesia il cui autore è voluto rimanere anonimo. Inciampai nelle sue strofe qualche anno fa, e me ne innamorai. Perdutamente. Irrimediabilmente. Senza se. Senza ma. Senza incertezza alcuna.
Questo verso, in particolare, mi rimase piantato nel cuore. Come il ricordo di qualcosa, o di qualcuno, che fai fatica ad uccidere, anche se vorresti.
Decisi, allora, che sarebbe stato il nome di questa mia finestra sul mondo. E dico "nome", non "titolo", perché richiama l'idea di uno spazio più intimo, e personale. Il titolo è quello di una rivista, di un giornale, di un programma televisivo o di uno spot pubblicitario. Un espediente commericiale per agganciare utenti. Numeri, invece che persone.
Anche la scelta della foto di intestazione non fu casuale. Una panchina è l'emblema perfetto dell'attesa imperfetta. La pazienza di chi si ferma, si siede, ed aspetta.
Ed io, ho trascorso buona parte della mia vita in attesa.
Ho aspettato, sulle panchine di cemento di una stazione di paese, l'arrivo di quei treni che, per anni, ogni mattina, mi hanno portata all'università.
Ho aspettato un grande amore, che non è arrivato. Un principe azzurro, che si è perso.
Poi, ne ho aspettato uno giallo, rosso, verde, fucsia, a pois, a strisce, rombi o quadrettoni. Ma neppure quello è arrivato.
Ho aspettato che la porta si chiudesse, e si aprisse il portone. Che domani fosse un altro giorno, come diceva quella tipa.
Ho aspettato il sole dopo la tempesta. Poi, ho capito che io, il sole, ce l'ho dentro.
Tra le cose attese, e disattese, ce n'è una che non può più aspettare. Scalpita per uscire fuori da quel cassetto in cui abbiamo lasciato morire di una morte lenta, e silenziosa, i nostri desideri più autentici. Il mio, è quello di diventare una scrittrice.
Oggi, questo sogno, cessa di essere tale. E si trasforma in un'ambizione. In un progetto. In una sfida. Da vincere.
Ho deciso di ribattezzare il mio blog per suggellare questa scelta. Un po' sofferta. Un po' pensata. Sicuramente voluta, e cercata.
"Nel giardino dei ciliegi" perché, secondo me, l'amore è come le ciliegie. Ricordate? Vivono in coppia e, il picciolo di ognuna di esse è congiunto, in cima, al picciolo dell'altra. Ma, se divise, e prese singolarmente, rappresentano due perfetti interi.
... lo spazio racchiuso nel perimetro di due cuori interi può contenere molto, molto più amore, di due metà.
" .. la principessa si è trasformata in ranocchio" quando ha capito che il Principe Azzurro non sarebbe arrivato. Allora, è diventata il Principe Azzurro di sé stessa. Ha imparato a salvarsi da sola.
Oggi cambio pelle. Ma non cambio cuore.
La febbre di scrivere, invece, è nata con me.
C'è stato un tempo in cui nessuno conosceva il mio blog. Nessuno lo leggeva. Nessuno commentava. A parte qualche caro amico, mosso dalla solidarietà. Dal cameratismo. E - non mi sento di escluderlo - dalla pietà.
Oggi, conto cinquecentotrentasette follower. Li chiamano così. Follower. O lettori fissi. Io preferisco, semplicemente, lettori. Perché, come direbbe Baricco: "Leggere è una sporcheria dolcissima. Chi può capire qualcosa della dolcezza se non ha mai chinato la propria vita, tutta quanta, sulla prima riga della prima pagina di un libro? No, quella è la sola, e più dolce, custodia di ogni paura. Un libro che inizia".
E la vostra vita è passata di qui, consapevolmente e non. Quella vita con le sue paure, le sue attese, gli incanti e i disamori, le felicità rubate e le gioie conquistate.
"Tacchi a spillo e gambe di zucchero filato" è il verso di una poesia il cui autore è voluto rimanere anonimo. Inciampai nelle sue strofe qualche anno fa, e me ne innamorai. Perdutamente. Irrimediabilmente. Senza se. Senza ma. Senza incertezza alcuna.
Questo verso, in particolare, mi rimase piantato nel cuore. Come il ricordo di qualcosa, o di qualcuno, che fai fatica ad uccidere, anche se vorresti.
Decisi, allora, che sarebbe stato il nome di questa mia finestra sul mondo. E dico "nome", non "titolo", perché richiama l'idea di uno spazio più intimo, e personale. Il titolo è quello di una rivista, di un giornale, di un programma televisivo o di uno spot pubblicitario. Un espediente commericiale per agganciare utenti. Numeri, invece che persone.
Anche la scelta della foto di intestazione non fu casuale. Una panchina è l'emblema perfetto dell'attesa imperfetta. La pazienza di chi si ferma, si siede, ed aspetta.
Ed io, ho trascorso buona parte della mia vita in attesa.
Ho aspettato, sulle panchine di cemento di una stazione di paese, l'arrivo di quei treni che, per anni, ogni mattina, mi hanno portata all'università.
Ho aspettato un grande amore, che non è arrivato. Un principe azzurro, che si è perso.
Poi, ne ho aspettato uno giallo, rosso, verde, fucsia, a pois, a strisce, rombi o quadrettoni. Ma neppure quello è arrivato.
Ho aspettato che la porta si chiudesse, e si aprisse il portone. Che domani fosse un altro giorno, come diceva quella tipa.
Ho aspettato il sole dopo la tempesta. Poi, ho capito che io, il sole, ce l'ho dentro.
Tra le cose attese, e disattese, ce n'è una che non può più aspettare. Scalpita per uscire fuori da quel cassetto in cui abbiamo lasciato morire di una morte lenta, e silenziosa, i nostri desideri più autentici. Il mio, è quello di diventare una scrittrice.
Oggi, questo sogno, cessa di essere tale. E si trasforma in un'ambizione. In un progetto. In una sfida. Da vincere.
Ho deciso di ribattezzare il mio blog per suggellare questa scelta. Un po' sofferta. Un po' pensata. Sicuramente voluta, e cercata.
"Nel giardino dei ciliegi" perché, secondo me, l'amore è come le ciliegie. Ricordate? Vivono in coppia e, il picciolo di ognuna di esse è congiunto, in cima, al picciolo dell'altra. Ma, se divise, e prese singolarmente, rappresentano due perfetti interi.
... lo spazio racchiuso nel perimetro di due cuori interi può contenere molto, molto più amore, di due metà.
" .. la principessa si è trasformata in ranocchio" quando ha capito che il Principe Azzurro non sarebbe arrivato. Allora, è diventata il Principe Azzurro di sé stessa. Ha imparato a salvarsi da sola.
Oggi cambio pelle. Ma non cambio cuore.
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